A quanto pare nei prossimi giorni anche l’Italia comincerà a bombardare le postazioni del gruppo Stato islamico. E d’istinto viene subito in mente Massimo D’Alema, che ai tempi del Kosovo era presidente del consiglio (1999) e a proposito delle ragioni per cui l’Italia decise di entrare in guerra disse: “Di fatto ti rendi conto di essere entrato in una certa agenda di telefonate del presidente degli Stati Uniti”.

L’Italia è già parte della coalizione contro lo Stato islamico, ma al momento il suo ruolo è essenzialmente fornire armi e addestrare forze locali. Adesso invece i Tornado italiani potrebbero passare da missioni di ricognizione a missioni di attacco anche se, dopo un anno, è ormai chiaro che i bombardamenti sono inutili.

Contesti nazionali

Non solo perché il problema, com’è noto, è la mancanza di truppe di terra: Kobane ha dimostrato che solo un attacco coordinato dal cielo e da terra può sconfiggere i jihadisti. Ma soprattutto i bombardamenti sono inutili perché, nonostante la retorica del califfato universale, in realtà il gruppo Stato islamico è molto condizionato dai contesti nazionali, e in Siria è molto diverso che in Iraq.

In Siria il conflitto oppone ancora i sostenitori e gli oppositori di Bashar al Assad, e il gruppo Stato islamico, che ha rapporti ambigui di alleanza di fatto sia con alcuni gruppi ribelli sia con il regime, è un attore terzo, dominato da stranieri. Non ha un reale sostegno popolare.

Non è così in Iraq, dove il gruppo Stato islamico è ben radicato, creato dal disastro dell’invasione statunitense e rafforzato negli anni del governo di Nouri al Maliki, che trae origine dall’identificazione collettiva dei sunniti con il regime di Saddam Hussein e dalla loro emarginazione politica e sociale.

La guerra contro il gruppo Stato islamico sembra ormai il pretesto per perseguire gli obiettivi più svariati

In Iraq, il gruppo Stato islamico è la reazione di alcuni sunniti alla frustrazione e alla discriminazione. Per eliminarlo non servono bombardamenti ma riforme, quelle che da settimane migliaia di iracheni chiedono manifestando in tutto il paese. Non sono né sunniti né sciiti: sono laici. E sono completamente ignorati.

Ormai la Siria e l’Iraq sono terra di nessuno. Nei cieli iracheni sfrecciano gli aerei di 17 paesi, in quelli siriani di 16 paesi, ognuno con i suoi obiettivi. L’Iran, per esempio, bombarda l’Iraq ma non la Siria, Israele bombarda la Siria ma non l’Iraq, mentre la Siria, nel senso di Assad, invece che i combattenti bombarda i civili.

L’Arabia Saudita bombarda anche lo Yemen, l’Egitto bombarda la Libia, la Turchia bombarda i curdi. La guerra contro lo Stato islamico, che agli Stati Uniti costa 8,5 milioni di dollari al giorno, 250mila dollari per ogni jihadista ucciso, ha innescato guerre di ogni genere. Anche se poi in Siria solo il 3 per cento dei civili è stato ucciso dai jihadisti dello Stato islamico e il 95 per cento dalle forze di Assad.

La guerra contro il gruppo Stato islamico sembra ormai il pretesto per perseguire gli obiettivi più svariati. La Turchia, per esempio, si è unita alla coalizione contro i jihadisti a luglio, dopo l’attentato di Suruç, ma per ora bombarda più i curdi che i jihadisti: fino al 1 settembre aveva colpito 300 volte il Pkk e tre volte il gruppo Stato islamico. Soprattutto, non ha mai chiuso il confine con la Siria, e non è un segreto che il suo territorio sia la retrovia di tutti i ribelli siriani, jihadisti inclusi. Da lì entra anche il petrolio di contrabbando, la principale fonte di finanziamento dello Stato islamico.

L’ultima arrivata è la Russia che, ufficialmente, è intervenuta contro il gruppo Stato islamico, ma invece di bombardare Raqqa colpisce le basi dei ribelli. Più che militare, però, la strategia di Mosca è politica. Vladimir Putin non mira tanto a mantenere al potere Assad, anzi: ha spesso dichiarato, già dal 2012, che Assad non è irremovibile. Ma va sostituito con un accordo, un negoziato, non con una sconfitta. L’obiettivo di Putin è entrare nella partita. In una certa agenda internazionale di telefonate.

E così l’Italia. Che bombarderà perché a questo punto è importante esserci. Indipendentemente da chi e cosa c’è diecimila metri più sotto.

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