21 gennaio 2015 15:46

L’attacco del 20 gennaio al palazzo presidenziale di Sanaa e il presunto tentativo di colpo di stato compiuto dai ribelli houthi sono stati interpretati come una nuova affermazione dell’Iran a scapito dell’Arabia Saudita nel grande conflitto regionale tra sciiti e sunniti. Gli houthi sono originari del nord dello Yemen e seguaci dello zaydismo, una variante locale dell’islam sciita. Alcuni analisti, soprattutto quelli presenti sui mezzi d’informazione mediorientali, hanno addirittura paragonato i ribelli houthi a Hezbollah, il partito sciita libanese alleato e finanziato da Teheran, il cui braccio armato è molto attivo contro Israele e nella guerra in Siria a fianco del regime alawita di Bashar al Assad (altro alleato dell’Iran).

Questo tipo di lettura può essere utile per capire chi sono le grandi potenze che sostengono le parti in conflitto nello Yemen, ma la situazione è più specifica e vale la pena di ritornare brevemente sulla storia recente del paese.

Dopo la primavera araba
Nel 2011 l’ondata di manifestazioni popolari contro i regimi autoritari del mondo arabo ha investito anche lo Yemen, oltre all’Egitto, alla Tunisia e alla Siria. Il presidente Ali Abdullah Saleh, al potere dal 1978 (inizialmente come presidente dello Yemen del Nord, uno stato indipendente fino alla riunificazione dei due paesi nel 1990), ha lasciato l’incarico all’inizio del 2012, accettando il piano di transizione promosso dai paesi del Golfo.

In seguito alle elezioni è arrivato al suo posto Abd Rabbo Mansur Hadi, a lungo vice di Saleh. Entrambi godevano della protezione dell’Arabia Saudita, l’ingombrante vicino del nord, che non vede di buon occhio né gli houthi, e il loro gruppo armato Ansarullah, né i Fratelli musulmani yemeniti, riuniti nel partito Al Islah. Da quando è andato al potere, Hadi si è dimostrato inefficiente e debole di fronte alle difficili sfide degli ultimi anni: la gravissima siccità e la crisi cronica dell’economia yemenita; gli attacchi di Al Qaeda nella penisola araba (che ha rivendicato i recenti attentati contro il settimanale satirico Charlie Hebdo) e la collaborazione “silenziosa” del governo con gli Stati Uniti, che bombardano con i droni le postazioni qaediste, causando anche vittime civili; le proteste dei separatisti del sud (che chiedono un ritorno alla situazione precedente al 1990) e la ribellione degli houthi al nord.

Una minaccia venuta dal passato
Negli ultimi mesi gli houthi sono emersi come la forza principale nel paese. Tra il 2004 e il 2010, dalle loro roccaforti intorno a Saada, avevano già combattuto una lunga serie di guerre contro il governo di Saleh (ecco il riepilogo dello Yemen Times), che in alcuni momenti ha potuto contare anche sull’intervento delle truppe saudite.

Dopo la rivoluzione, e in particolare dal 2013, gli houthi si sono scontrati a varie riprese con altre milizie, come quelle legate al partito Al Islah, con potenti gruppi tribali (che ancora dominano la società e la politica del paese) e con i combattenti qaedisti.

Sullo slancio di una serie di proteste contro il governo, che voleva abolire i sussidi sul carburante, nel settembre del 2014 i ribelli del nord sono scesi su Sanaa e hanno preso il controllo di parti della capitale, costringendo il governo a dimettersi. Come scrive Tom Finn su Middle East Eye, “i combattenti hanno preso il controllo anche di un porto, due quotidiani finanziati dal governo, nove capoluoghi di provincia, così come di varie scuole ed edifici pubblici. Gli houthi sostengono di volere le riforme, tra cui una migliore rappresentanza delle minoranze religiose e la fine della corruzione, ma i loro oppositori li accusano di voler creare una teocrazia sciita e di essere finanziati dall’Iran”. Gli houthi si oppongono inoltre al progetto federalista adottato dal governo nel 2014, sostenendo che divide il paese in regioni povere e regioni ricche.

E proprio sul progetto federalista stava lavorando Ahmed Awad bin Mubarak, il capo di gabinetto di Hadi, rapito il 17 gennaio da presunti ribelli houthi. Il sequestro di Mubarak è stato la scintilla che ha portato all’escalation di violenze degli ultimi giorni. Il 20 gennaio gli houthi sono entrati nel palazzo presidenziale e hanno circondato l’abitazione privata di Hadi, scontrandosi con le sue guardie di sicurezza.

Sempre la sera del 20 gennaio il leader degli houthi, Abdel Malek al Houthi, è apparso in tv per chiedere al presidente di mettere in atto l’accordo di pace e di collaborazione nazionale raggiunto dopo gli eventi del settembre scorso. Abdel Malek, 32 anni, è succeduto al padre Badreddin alla testa del movimento che prende il nome dalla sua famiglia (su Middle East Eye un suo ritratto) e, nonostante la giovane età, è oggi una delle figure più influenti nello Yemen.

Miliziani houthi fuori del palazzo presidenziale di Sanaa, 21 gennaio 2015. (Khaled Abdullah, Reuters/Contrasto)

I rapporti con Iran e Arabia Saudita
Tornando al punto iniziale, quali sono i legami degli houthi con l’Iran e in che modo la loro affermazione infastidisce l’Arabia Saudita? La Reuters scrive che ci sono prove dei finanziamenti iraniani agli houthi, sotto forma di armi e denaro, precedenti e successivi alla presa di Sanaa del settembre scorso (evento dopo il quale l’Arabia Saudita ha sospeso gli aiuti finanziari temendo che potessero finire nelle mani degli houthi). Secondo una fonte governativa iraniana citata dall’agenzia, alcuni combattenti houthi sarebbero anche andati ad addestrarsi in Iran.

Invece, l’Arabia Saudita, che ha sempre sostenuto il governo – espressione della maggioranza sunnita – ha assunto una posizione decisamente ostile ai ribelli zayditi. Riyadh nel 2014 li ha inseriti nella lista dei gruppi terroristici.

Per quanto riguarda il parallelo con Hezbollah, su Al Monitor Farea al Muslimi scrive: “Gli houthi stanno cercando di prendere esempio dall’esperienza di Hezbollah. Di recente le relazioni tra i due gruppi sono diventate più strette. Entrambe le organizzazioni hanno un braccio armato che sostiene, quando necessario, le formazioni politiche. Ma le similitudini finiscono qui. Da una prospettiva geostrategica, Hezbollah è uno stretto alleato dell’Iran e non si sottrae allo scontro diretto con i nemici dell’Iran. Invece gli houthi sono più simili a uno ‘strumento dell’Iran’ e la loro attività è geograficamente limitata allo Yemen”.

Resta da vedere se la direzione presa dagli houthi sarà quella del confronto politico o dello scontro militare. I paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo sono per definizione ostili all’ascesa degli houthi, ma ancora non escludono completamente l’idea di poter negoziare con loro. Di certo, se i ribelli prendessero definitivamente il potere a Sanaa, sarebbe un grosso scossone per l’equilibrio regionale. E per gli Stati Uniti, che perderebbero un alleato – seppur non sempre perfettamente affidabile – nella lotta contro Al Qaeda.

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