A quasi dieci anni dalla Palma d’oro ricevuta per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, Cristian Mungiu potrebbe vincerne una seconda con Bacalaureat, che in Italia sarà distribuito dalla Bim (mentre Sieranevada di Cristi Puiu, l’altro film rumeno in concorso, è stato acquistato da Parthènos). In realtà, i favoriti sembrano il tedesco Toni Erdmann di Maren Ade, di cui ha scritto Lee Marshall, insieme a Ma’ Rosa del filippino Brillante Mendoza. Meno probabili American Honey, Acquarius, Juste la fin du monde, Ma Loute e Rester vertical di Alain Guiraudie, quest’ultima un’opera di grande profondità e notevole freschezza. A meno che la giuria, presieduta dallo statunitense George Miller, cinefilo con gusti anche raffinati, non preferisca The Neon Demon di Nicolas Winding Refn, a nostro avviso in larga parte finto film folle. Staremo a vedere. Poi, certo, si potrebbe scatenare la battaglia dei veti incrociati, come l’anno scorso, quando alla fine prevalse un buon film medio che non scontentava nessuno come Deephan di Jacques Audiard.
Tornando a Mungiu, il suo film è una deambulazione, un vagare confuso. Un elemento che si determina evidentemente solo dopo un certo periodo poiché grande è l’affanno, la fatica del protagonista, un medico della sanità pubblica di mezz’età, nel mantenere una linea dritta, onesta e semplice, poggiata su elementi basici. Perché tutto intorno a lui si sfilaccia in una sorta di paradossale corruzione umanistica, di cui sono paradigmatiche certe espressioni. Mungiu esprime tutto ciò con grande maestria, senza essere didascalico, lasciando fiorire le situazioni con naturalezza grazie a queste deambulazioni, un vagare narrativo ma di cui l’autore, al contrario dei personaggi, conosce le linee di fondo.
Il medico non è certo un moralista bigotto, ma i tanti piccoli fatti che si succedono, come l’aggressione per strada a sua figlia o l’operazione di trapianto di fegato a un ex doganiere che ha una dubbia fama, finiscono per diventare un continuo intralcio al suo percorso lineare, che da semplice diventa tortuoso. Un incubo notturno, dove c’è tutto e non c’è nulla. Se in 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, la Romania sembrava un paese fisicamente deserto, qui il deserto è più di valori, e ci si chiede se un progetto di società e convivenza esista ancora. Un po’ come in Italia, per certi versi. Povero medico. Come assistere non solo i pazienti ma anche chi semplicemente gli sta a cuore se tutto marcisce non si sa come, per via di quella deambulazione confusa? Come uscire da questo dedalo contraddittorio di corruzione, autoassolvimento, povertà e necessità di un’istruzione? Alla fine tutto sembra mettersi a posto. Ma cosa dice il fotografo alla cerimonia di laurea della figlia? “Sorridete! Siate felici!”.
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