Un acquario dove galleggiare in tranquillità con i ricordi di una vita densa ma trasparente, cristallina. Un luogo protetto ma anche fragile insieme, dove nuotare come un pesce raro che fuori della sua acqua, o del proprio liquido amniotico, non sopravviverebbe.

Aquarius, il secondo film del brasiliano Kleber Mendonça Filho, è ambientato nello stesso quartiere di Recife, la città natale del regista, dov’era ambientato il suo primo lungometraggio O som ao redor. Non è un film spettacolare ma sobrio, quieto. Ma la sua quietudine è solo apparente perché qualcosa di oscuro e potenzialmente distruttivo si agita nelle acque immobili della vasca, qualcosa di invisibile ma pervasivo, che proveniene dal mondo esterno.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Sonia Braga interpreta Clara, un critico musicale in pensione. Simbolo di un mondo ormai in dismissione, ha un’ampia collezione di dischi in vinile. Per gli altri tutto questo è sinonimo di vestigia, mentre per lei tutto è ancora in vita. A cominciare dai suoi ricordi, i ricordi di una donna che ha lottato per i suoi diritti, la sua emancipazione e la sua libertà sessuale. Che sia un film della memoria Aquarius lo enuncia fin dalle fotografie d’apertura che ci accompagnano sino a una palazzina tinta di un blu, che si chiama appunto Aquarius. È la casa di Clara ed è ferma nel tempo anche per la volontà ostinata della stessa Clara, ultima inquilina del palazzo.

Esemplare in via di estinzione
Nell’Aquarius svuotato di quasi tutti i suoi pesci, Clara sembra l’ultima esemplare di una specie in estinzione. E la sua ostinazione a fermare il tempo rappresenta una sfida al sistema dell’affarismo inumano, della spinta al depauperamento della comunità, alla gentrificazione, alla vacuità opportunistica, nascosta dietro un sorriso gentile e accattivante da pubblicità, alla velocità opposta alla lentezza che permette contemplazione, riflessione, consapevolezza e mantenimento della propria identità.

Non ci potrebbe essere più forte contrasto tra il giovane rappresentante di una società immobiliare, giovane, bianco e belloccio, e Clara con le sue fattezze indie, ieratica come una regina del mondo antico, consapevole del proprio sé e capace quindi di esistere nella sua pienezza, compresa la pienezza dei suoi diritti. E la consapevolezza è possibile grazie alla memoria, alla sua stratificazione. Fondamentale in tutto questo la presenza fisica di Sonia Braga che incarna perfettamente questa opposizione.

Un monumento dell’immaginario brasiliano
Dopo il successo televisivo grazie a diverse telenovelas, Sonia Braga fu lanciata al cinema da film di successo come Dona Flor e i suoi due mariti (1976, dal celebre romanzo di Jorge Amado) di Bruno Barreto e Gabriela (1983) accanto a Marcello Mastroianni, sempre per la regia di Barreto. Ma la ricordiamo anche in Il bacio della donna ragno (1985) di Hector Babenco, insieme a Raul Julia e William Hurt, Milagro (1988) per la regia di Robert Redford, di cui sarà a lungo la compagna, e il terzo capitolo di Dal tramonto all’alba di Tarantino e Rodriguez (La figlia del boia, 1999). Poi tante partecipazioni a serie tv come Sex and the City, Law & Order, Csi: Miami, Alias. L’elenco sarebbe ben più lungo: è evidente che Mendonça Filho ha scelto un monumento dell’immaginario brasiliano, del cinema d’autore come di quello popolare, per lanciare un film sovversivo che in Brasile ha suscitato non poche polemiche. Una scelta che fa del commerciale necessità politica.

Speculare all’attrice che la interpreta, il personaggio di Clara non è del tutto alieno dal presente con le sue facilità. La sequenza nel locale con le amiche, dall’umorismo spudorato e dalle risate grasse, ne costituisce un esempio. Come anche le sue scelte di libertà sessuale, dove accetta la mercificazione dei corpi, anche se declinata al maschile. Attraverso questi “cedimenti” il film sembra non voler esprimere un giudizio univoco. Comunque Clara recupera velocemente la sua classe, la forza nelle sue convinzioni, la sua ieraticità, da intendersi come sinonimo di elevazione, irraggiungibilità, grandezza, maestosità di chi ha davvero riflettuto, vissuto, combattuto.

Penetrante metafora che parte dall’intimo per parlare della liquefazione della società brasiliana

Come già in O som ao redor, che trattava dello scontro tra classe media prossima al collasso e poteri economico-affaristici, Mendonça Filho fa uso di sequenze sottilmente oniriche sempre sul crinale del naturalismo più realistico, di sospensioni al limite del percettibile tra il reale e l’irreale, foriere di un sentimento di presagio funesto, una sensazione pervasiva di minaccia incombente dietro al velo della quietudine stagnante, di cui sono allegorie (dalle diverse risonanze) l’uso insistito di porte e chiavi.

Penetrante metafora che parte dall’intimo per parlare della liquefazione della società brasiliana che sembra sull’orlo di una guerra civile, Aquarius è pervaso da un desiderio di sovvertire dall’interno i meccanismi dominanti del sistema con le sue stesse armi subdole e nascoste. Siamo di fronte a un film eccellente e sorprendente, che parla anche agli europei e agli italiani. Senza dubbio una delle uscite di spicco dell’anno che sta per chiudersi. Un brindisi di buon augurio per l’anno nuovo potrebbe essere allora fatto all’insegna della forza caparbia, dell’ostinata dignità di doña Clara. O di Sonia Braga, a voi la scelta.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it