L’enciclica ambientalista ancora non ufficialmente pubblicata (ma il cui testo è stato comunque diffuso dai mezzi d’informazione) provoca adesioni e polemiche, suscita consensi ampi e inattesi, dissensi interni che alimentano lo sgomento e l’irritazione delle frange più tradizionaliste e conservatrici del mondo cattolico ed ecclesiale nei confronti del pontificato.

Anche perché dopo due anni di “regno” di papa Francesco si arriva al cuore del problema: qual è il compito della chiesa? La risposta messa in campo da Bergoglio riaggancia il filone conciliare e lo fa proprio a partire da un dialogo aperto con il mondo, dall’ascolto dei segni dei tempi, dal confronto della tradizione cristiana con i problemi e le urgenze che toccano da vicino l’umanità.

Per questo Laudato si’ è un’enciclica che affronta un groviglio di questioni tutte legate tra loro e fa proprio il modello dell’interdipendenza quale elemento non eludibile dell’epoca.

Al centro del testo troviamo l’ambiente, la tutela della biodiversità, la critica al modello di sviluppo – si parla anche di decrescita – il nesso tra speculazioni finanziarie, poteri economici e degrado del pianeta, il rapporto fra tecnocrazia e globalizzazione, l’accesso all’acqua potabile negato a milioni di persone, il tema di un’ecologia che si sviluppi in senso culturale, sociale e politico. Mette in luce il rapporto della fede e della tradizione cristiana con questo insieme di tematiche, e il contributo che possono dare le religioni alla difesa del creato.

La tecnoeconomia distrugge l’ambiente e la politica

Dunque diversi sono gli spunti che già emergono da un testo la cui pubblicazione è diventata una sorta di thriller, quasi un nuovo genere cinematografico, l’action media, con pubblicazioni non autorizzate del testo, bozze che circolano da giorni, passando per qualche tentativo di destabilizzazione dell’effetto-enciclica messo in atto da ambienti non proprio in sintonia con papa Francesco.

È probabile quindi che quando giovedì prossimo l’enciclica sarà diffusa in via definitiva, possa contenere qualche ulteriore aggiustamento. D’altro canto questo è il contesto in cui si muove un pontificato che sta provocando scosse telluriche interne alla chiesa ed è in grado però di far tornare il cristianesimo al centro del dibattito pubblico mondiale. Così tra gli aspetti che è possibile rintracciare nel testo, proviamo a sottolinearne uno in particolare, ovvero la separazione tra economia e politica in grado di generare danni strutturali alle democrazie.

Il papa, stando alle anticipazioni, chiarisce prima quanto sia grave l’autonomia assoluta di cui gode oggi la sfera economico-finanziaria. “Si rende indispensabile”, si afferma nel testo “creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia”.

Insomma, libertà d’impresa sì, ma i poteri globali sono un’altra cosa e, par di capire, assai pericolosi per il futuro delle società umane. E proprio su questo terreno l’accento del testo diventa polemico: “Si richiede dalla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti”. Tuttavia “il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute. Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?”.

Così “la semplice proclamazione della libertà economica” – quando in realtà molti non possono accedervi quando il lavoro diminuisce – è un discorso fragile “che disonora la politica”.

La finanza ha troppo potere

Su un piano più generale, dunque, la considerazione di fondo è che “la finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale”. È questa anzi, secondo il papa, una caratteristica del ventunesimo secolo, periodo nel quale si assiste a una progressiva perdita di potere degli stati nazionali, dovuta per una parte consistente al fatto che l’economia finanziaria transnazionale ha ormai la meglio sulla politica così come l’abbiamo concepita nei secoli alle nostre spalle.

In questo senso si chiede il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali, le uniche in grado di porre mano alle crisi globali.

L’enciclica, ampia e tematicamente densa, non si limita però alla pars destruens, all’analisi delle criticità del sistema, ai gravi pericoli che incombono sull’umanità a causa di comportamenti predatori da parte di soggetti economici sempre più avidi o di comportamenti diffusi al livello di consumi individuali contrari a una visione della Terra come bene comune da condividere.

Molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche

Il testo contiene anche dei tentativi di risposta, delle linee guida cui fare riferimento. Per questo Francesco si chiede ancora: “Qual è il posto della politica?”. È vero prosegue la riflessione del pontefice, “che oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli stati stessi. Ma non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale”.

La logica in base alla quale non ci si preoccupa dell’ambiente – sostiene Bergoglio - è la stessa che porta a disinteressarsi degli emarginati, delle conseguenze di determinate scelte sui popoli, del divario di ricchezza esistente, degli squilibri in un’ecologia sociale umana e ambientale.

E allora, in questa prospettiva, spiega papa Francesco, “abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia”. “Molte volte”, aggiunge il papa, “la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone politiche pubbliche. Se lo stato non adempie il proprio ruolo in una regione, alcuni gruppi economici possono apparire come benefattori e detenere il potere reale, sentendosi autorizzati a non osservare certe norme, fino a dar luogo a diverse forme di criminalità organizzata, tratta delle persone, narcotraffico e violenza molto difficili da sradicare”.

Così finché la politica non sarà capace di rompere queste logiche, continuerà a essere sostanzialmente ininfluente. Al contrario “una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it