Francesco e Donald: due leader, due protagonisti della scena mondiale, destinati a restare su fronti opposti, a detestarsi, a combattersi, quanto meno sul piano dei valori e della visione del mondo. Eppure, prima o poi, è possibile che arrivino a una stretta di mano, all’inevitabile faccia a faccia. Questo impone la diplomazia, questo dice la storia delle solide relazioni tra Washington e il Vaticano.
Certo, quel legame preferenziale si è quasi spezzato del tutto negli ultimi mesi, un’escalation negativa che non ha precedenti. Per questo davvero nulla è già scritto, neanche il possibile – e in altri tempi scontato – incontro tra i due alla fine di maggio, quando Trump sarà in Italia, a Taormina, in occasione del G7 (il 26 e il 27). E fino a oggi, fanno sapere dal Vaticano a Internazionale, “non è arrivata nessuna richiesta da parte della Casa Bianca”. E anche sul fronte della nomina del nuovo ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, per ora non ci sono novità. È solo una questione di tempo? Forse.
D’altro canto la domanda che già fu di Stalin, oggi può tranquillamente essere fatta propria da Trump, ovvero: quante divisioni ha il papa? La risposta è nota: nessuna. E per quanto la chiesa sia radicata in ogni parte del mondo, Stati Uniti compresi, e la sua influenza sia ancora significativa (ma minore che in passato), la potenza di fuoco, in termini politici, di cui è tradizionalmente capace la Casa Bianca può mettere in seria difficoltà anche un super comunicatore come Jorge Mario Bergoglio.
Ma appunto questa è l’altra metà del problema: la presidenza Trump che si è vista fino a oggi, sembra più una barca in tempesta che una solida corazzata, procede tra continue improvvisazioni e gli incidenti diplomatici si susseguono e si alternano agli aggiustamenti di rotta.
La missione del papa è parlare con tutti, anche quando divergenze profonde lo separano dal suo interlocutore
Come se non bastasse, la parola impeachment, in sostanza la messa in stato d’accusa del presidente da parte del congresso, aleggia su Donald Trump a poche settimane dal suo insediamento. I problemi non mancano, a cominciare dalle relazioni pericolose intrattenute con il Cremlino dall’ex consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, Michael Flynn. Quei rapporti sono ora al centro di indagini giornalistiche e soprattutto dei servizi di sicurezza americani – Fbi e Cia in testa – e mostrano un quadro inquietante, capace di far tremare lo stesso presidente a causa del crescente sospetto che Trump fosse a conoscenza dei maneggi dell’ex consigliere che si è dimesso nelle settimane passate.
E allora? La diplomazia è prudente per natura e attende il suo momento. Il papa, poi, non è un capo di stato come gli altri, la sua missione è parlare con tutti, anche quando divergenze profonde lo separano dal suo interlocutore. D’altro canto Trump, che pure si esporrebbe al classico comunicato al vetriolo del Vaticano in caso di un incontro con Bergoglio, potrebbe mostrare al mondo – se gli stringesse la mano – un altro volto, conciliante, capace di parlare anche con chi la pensa in modo diametralmente opposto al suo. Ma ne è davvero capace?
A questo interrogativo, finora, i commentatori di mezzo mondo non hanno saputo dare una risposta definitiva; qualche passo in avanti Trump lo ha fatto – con Cina e Giappone – ma la gaffe sul Medio Oriente e sui rapporti tra Israele e i palestinesi, è senza misura (più o meno ha detto: uno o due stati è lo stesso, basta che facciano la pace, incenerendo in poche battute quarant’anni di diplomazia americana e mondiale). Da ultimo il capo della Casa Bianca ha dichiarato di voler aumentare l’arsenale nucleare americano, e di certo questo per la Santa Sede è un punto non ammissibile.
L’imperativo di aiutare i migranti
Francesco, cui al contrario non difetta né l’acume politico né la capacità di gestire i momenti difficili, aspetta e tesse la sua tela. Clamoroso e astuto è stato il messaggio in spagnolo nel quale parlava di fraternità, della cultura dell’incontro e di pace, inviato agli Usa in occasione del Super Bowl, la finale del campionato di football americano, evento mediatico seguitissimo in tutti gli States. Su un piano più serio si è svolto nei giorni scorsi un incontro importante tra i vescovi degli Stati Uniti e quelli del Messico allo scopo di concordare una strategia comune per portare aiuto ai migranti, alle loro famiglie, ai bambini che vengono espulsi o che rischiano la vita nel tentativo di attraversare la frontiera.
In un editoriale diffuso dal giornale della diocesi di Città del Messico, si legge tra l’altro: “Dinanzi al terrore dell’amministrazione Trump, la chiesa cattolica, su entrambi i lati del confine, fa appello all’unità. Durante questa settimana, i vescovi del Texas e del Messico si sono impegnati, in questo difficile momento storico, a fornire servizi di qualità ai migranti: spirituali, legali, materiali e di assistenza della famiglia, e a mantenere una presenza costante nei centri e nelle case d’accoglienza ai migranti dal confine meridionale del Messico e negli Stati Uniti, perché, dinanzi a questo ambiente di diffidenza e tradimento, le chiese sono diventate l’unico rifugio sicuro in cui si può dare loro garanzie per proteggere i loro diritti legali”. Quindi si osserva: “ La ricerca di soluzioni giuridiche, politiche e sociali non è più un’opzione, si tratta di questioni imperative”.
Il Vaticano teme che si stiano introducendo princìpi limitativi della libertà religiosa e una sorta di legalizzazione di forme di razzismo
Per altro, i fronti caldi tra Casa Bianca e Santa Sede si accavallano: a cominciare dai vari provvedimenti di chiusura delle frontiere nei confronti dei musulmani provenienti da diversi paesi arabi e asiatici, motivati con ragioni di sicurezza nazionale. Norme contestate costituzionalmente da più di una corte di giustizia e che hanno suscitato proteste in tutto il mondo. Anche in Vaticano, dove si è cominciato a guardare con “preoccupazione” alla politica di Trump in materia. Il timore, Oltretevere, è che di fatto si stiano introducendo princìpi fortemente limitativi della libertà religiosa – uno dei cardini della diplomazia ecclesiale – e affermando una sorta di legalizzazione di forme di razzismo.
Alla base di simili scelte da parte di Washington c’è l’ideologia di uno dei consiglieri più ascoltati dal presidente, vale a dire quello Stepehn Bannon promotore del sito Breitbart (uno dei capisaldi della campagna trumpiana) che vorrebbe rifondare l’occidente a base di tradizione giudeocristiana, guerra all’islam e ultraliberismo economico. È interessante allora capire quale piega potrà mai prendere un eventuale dialogo tra Santa Sede e Casa Bianca, quando è ormai evidente che non basterà l’appoggio presidenziale alle campagne antiabortiste a mettere a tacere il dissenso del Vaticano e di un numero crescente di vescovi statunitensi, compresi alcuni di quelli appartenenti ai settori più conservatori.
A dividere il papa dalla nuova amministrazione di Washington, inoltre, non sono solo temi come le migrazioni, i rapporti internazionali, il confronto tra religioni e culture, la solidarietà, il potere della finanza internazionale. A questa sequenza va aggiunta l’ecologia, alla quale il papa ha dedicato la sua prima e per ora unica enciclica, Laudato si’. Anche in questo caso i vescovi statunitensi, in linea con la Santa Sede, hanno lanciato un monito a Trump: “Vogliamo riaffermare l’importanza della leadership degli Stati Uniti nella promozione di politiche contro il riscaldamento globale”, hanno scritto in un messaggio.
In tal senso hanno chiesto al governo il rispetto degli impegni presi con l’accordo di Parigi. La conferenza episcopale statunitense rileva come “i poveri e le popolazioni più vulnerabili patiscono in modo sproporzionato gli effetti di uragani, inondazioni, siccità, carestie e scarsità di acqua”, mentre “la tradizione giudaico-cristiana ha sempre inteso l’ambiente come un dono di Dio”. Di conseguenza, concludono, “siamo tutti chiamati a proteggere la nostra casa comune”.
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