Molto probabilmente il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha ragione nel sostenere che le violazioni dello spazio aereo turco compiute da aerei militari russi partiti dalla Siria non sono state accidentali, come le ha definite Mosca. Stoltenberg ha dichiarato che la Russia non ha fornito “nessuna vera spiegazione” per gli incidenti, ma non ci vuole molta immaginazione per trovarne una.
Mentre gli aerei russi e quelli turchi giocavano al gatto e il topo, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan stava trattando con l’Unione europea un accordo in base al quale Ankara accetterebbe di diventare di fatto il centro di detenzione offshore europeo per i profughi siriani, alleviando un’emergenza che sta creando sempre più imbarazzi ai leader europei.
Erdoğan offre all’Europa una soluzione facile a un problema immediato
Se Erdoğan ha deciso di giocare la sua carta principale nell’eterna trattativa con l’Unione europea è certamente per le contropartite pratiche e i vantaggi d’immagine che potrebbe trarne in vista delle elezioni turche del 1 novembre. Ma il presidente turco ha anche chiesto esplicitamente il sostegno dei paesi europei alla creazione di una “zona sicura” nel nord della Siria, ufficialmente per accogliere e identificare i profughi siriani.
In realtà la “zona sicura”, essenzialmente una no-fly zone interdetta all’esercito siriano, è il caposaldo della strategia turca in Siria e ha due obiettivi molto concreti: garantire le linee di rifornimento ai gruppi jihadisti sostenuti da Ankara – tra cui molti sospettano che ci sia anche lo Stato islamico – e impedire che le milizie curde siriane dell’Ypg avanzino da est fino alle enclavi curde a nord di Aleppo, prendendo il controllo di tutto il confine turcosiriano.
Gli argomenti di Ankara
La “zona sicura” tra Jarabulus e Azaz era stata concordata a luglio quando Ankara aveva concesso agli Stati Uniti l’uso della base aerea di Incirlik, ottenendo il tacito assenso di Washington alla sua offensiva contro i curdi.
Ma gli ultimi sviluppi della crisi siriana, con l’intervento russo al fianco del governo di Bashar al Assad e l’apparente avvicinamento di molti paesi occidentali a una soluzione politica che non preveda un immediato cambio di regime a Damasco, hanno allarmato la Turchia. Visto che uno dei motivi principali dei ripensamenti europei era l’afflusso dei profughi siriani, Ankara cerca adesso di usare lo stesso argomento per riportarli dalla sua parte.
Ecco il motivo dello sconfinamento di domenica. Affermando chiaramente che non ha intenzione di rispettare la no-fly zone turca, la Russia ha avvertito sia Ankara sia i paesi occidentali che per difendere la “zona sicura” dovranno prepararsi a rischiare uno scontro diretto, qualcosa che per il momento non sembrano disposti a fare.
Se Mosca, che mantiene da tempo stretti contatti con le milizie curde siriane dell’Ypg, si spingerà fino a incoraggiare una loro offensiva contro i jihadisti nella zona sicura, metterà in una pessima posizione gli Stati Uniti, che dovranno scegliere se rimangiarsi la parola data alla Turchia o schierarsi apertamente contro i curdi, che sono stati i loro principali alleati contro lo Stato islamico.
L’Europa si trova di fronte a una scelta difficile, e la posta in gioco aumenta pericolosamente. Erdoğan le offre una soluzione facile a un problema immediato, ma il prezzo da pagare sarebbero nuove tensioni con la Russia, che potrebbe ritrattare i segnali di apertura sul conflitto in Ucraina mandati negli ultimi tempi. Stavolta identificare il male minore sembra davvero complicato.
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