L’anno scorso ero scoraggiato: un’ombra minacciosa si allungava sulle libertà che i nostri antenati hanno difeso a costo della vita. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, i parlamenti rischiavano di non poter più legiferare per il bene dei loro cittadini a causa di un trattato che avrebbe permesso alle grandi aziende di citare i governi in tribunale. E io cercavo di trovare il modo per impedire una cosa del genere.
Fino a quel momento, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip) tra l’Unione europea e gli Stati Uniti lo conosceva solo chi che partecipava ai negoziati. E io sospettavo che nessun altro ne avrebbe mai sentito parlare. Perfino il nome sembrava fatto apposta per non suscitare interesse. Avevo scritto un articolo al riguardo per un solo motivo: poter dire ai miei figli che avevo cercato di fare qualcosa.
Con mio grande stupore, quell’articolo è diventato virale. In seguito alla reazione dell’opinione pubblica e al coinvolgimento di importanti attivisti, la Commissione europea e il governo britannico hanno dovuto dare una risposta. La petizione Stop Ttip ha raccolto più di 800mila firme; la petizione 38 Degrees ne ha raccolte 910mila. A ottobre ci sono state 450 azioni di protesta in 24 stati dell’Unione europea. La Commissione europea è stata costretta ad affrontare gli aspetti più controversi del trattato attraverso una consultazione pubblica che ha ricevuto 150mila risposte. Mai dire che le persone non possono affrontare questioni complesse.
La battaglia non è ancora vinta. Le aziende e i governi, guidati dal Regno Unito, si stanno mobilitando per placare le proteste. Ma la loro posizione si fa ogni mese più debole. All’epoca, il ministro britannico responsabile della questione era Kenneth Clarke. Il ministro rispose ai miei articoli ripetendo che “non c’era niente di più insensato” che rendere pubblica la posizione dell’Europa nei negoziati, come io avevo proposto. A ottobre, però, la Commissione è stata obbligata a fare proprio questo. La lotta contro il Ttip potrebbe diventare una vittoria storica dei cittadini contro lo strapotere delle aziende.
Il problema centrale si chiama “risoluzione delle controversie tra investitore e stato” (Investor-state dispute settlement, Isds). Il trattato consentirebbe alle aziende di fare causa ai governi citandoli davanti a un collegio arbitrale di avvocati esperti di diritto societario, un collegio dove le altre parti non avrebbero alcuna rappresentanza e che non sarebbe soggetto a un riesame dell’autorità giudiziaria.
Già oggi, grazie all’inserimento dell’Isds in trattati commerciali di portata minore, le grandi aziende sono impegnate in una girandola di vertenze che hanno come unico obiettivo quello di spazzare via qualsiasi legge che possa interferire con i loro profitti. La Philip Morris sta facendo causa ai governi di Uruguay e Australia, colpevoli di voler convincere la gente a non fumare.
L’azienda petrolifera Occidental ha ottenuto un risarcimento di 2,3 miliardi di dollari dall’Ecuador che aveva revocato la concessione per le trivellazioni in Amazzonia dopo aver scoperto che la compagnia aveva infranto la legge. La svedese Vattenfall è in causa contro il governo tedesco, responsabile di aver rinunciato all’energia nucleare. Un’azienda australiana ha presentato una causa da 300 milioni di dollari contro il governo di El Salvador per non aver dato le concessioni di sfruttamento di una miniera d’oro che rischia di inquinare l’acqua potabile.
In base al Ttip, si potrebbe usare lo stesso meccanismo per impedire alle amministrazioni locali del Regno Unito di annullare la privatizzazione delle ferrovie e della sanità pubblica, o per impedire di proteggere la salute dei cittadini e l’ambiente dall’avidità delle aziende. Gli avvocati all’interno di questi collegi arbitrali si sentono in obbligo solo nei confronti delle aziende che devono giudicare, e che in altri momenti sono i loro datori di lavoro.
Come ha commentato uno di questi legali, “quando penso all’arbitrato, mi stupisco sempre che degli stati sovrani abbiano potuto accettarlo. Tre privati cittadini ricevono il potere di vagliare, senza alcuna restrizione o procedura di appello, tutte le azioni del governo, tutte le decisioni dei tribunali e tutte le leggi e i regolamenti approvati dal parlamento”.
Questo accordo è talmente vergognoso che si è schierato contro perfino l’Economist (che di solito è il paladino delle aziende e dei trattati commerciali) definendo la risoluzione delle controversie tra investitore e stato “un modo per consentire alle multinazionali di arricchirsi a spese della gente”.
Quando David Cameron e i mezzi d’informazione legati al mondo imprenditoriale hanno lanciato la loro campagna contro la candidatura di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione europea, hanno sostenuto che l’ex premier del Lussemburgo fosse una minaccia per la sovranità britannica.
Ecco un perfetto esempio di capovolgimento della realtà. Juncker, fiutando la direzione che stava prendendo il dibattito pubblico, aveva promesso nel suo programma: “Non sacrificherò gli standard di protezione della sicurezza, della salute, della società e delle informazioni in Europa sull’altare del libero scambio. E non accetterò che la giurisdizione dei tribunali negli stati dell’Unione europea sia limitata da regimi speciali per le controversie con gli investitori”. La colpa di Juncker, dunque, era di aver promesso di non svendere ad avvocati esperti di diritto societario la sovranità di un paese, come volevano Cameron e i baroni dei mezzi d’informazione.
Adesso Juncker è sotto pressione. A ottobre i rappresentanti di 14 governi gli hanno scritto in privato e senza consultare i rispettivi parlamenti, per chiedere l’inclusione della Isds (la lettera è stata resa pubblica qualche giorno fa). E chi sta guidando questa campagna? Il governo britannico. Tanta doppiezza è difficile da comprendere. Mentre si proclama talmente preoccupato della nostra sovranità da essere pronto a lasciare l’Unione europea, il governo britannico insiste segretamente affinché la Commissione europea massacri la nostra sovranità a favore dei profitti delle aziende. Cameron è a capo di una congiura delle polveri contro la democrazia.
Né lui né i suoi ministri sono stati in grado di rispondere a una domanda tremendamente banale: cos’hanno che non va i tribunali? Se le aziende vogliono citare in giudizio i governi, hanno già il diritto di rivolgersi a un tribunale, come chiunque altro. Di sicuro, con gli enormi mezzi di cui dispongono, non sono svantaggiati di fronte alla legge. Perché dovrebbero avere il permesso di usare un sistema legale separato, al quale noi non abbiamo accesso? Che fine ha fatto il principio secondo cui tutti sono uguali davanti alla legge?
Se i nostri tribunali sono idonei a privare i cittadini della loro libertà, perché non dovrebbero essere altrettanto idonei a privare le aziende di profitti futuri? Non dovremo più prestare ascolto ai difensori del Ttip finché non avranno risposto a questa domanda.
Non potranno sfuggirle ancora a lungo. A differenza di quanto accaduto con altri trattati, il Ttip finalmente è di pubblico dominio e questo indebolisce gli argomenti in suo favore. Ci attende una dura lotta dal risultato incerto, ma ho la sensazione che alla fine vinceremo.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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