(Henry Ruggeri Photo, Barley Arts)

Forse è tutta una questione di intimità. Di quell’intimità che Bruce Springsteen riesce a creare ogni volta di fronte a migliaia di spettatori.

Magari è nascosta in quella Thunder road che ha chiuso il concerto di Roma. Chitarra, armonica e voce. Oppure nella New York City serenade suonata insieme all’orchestra Roma Sinfonietta. Una rarità, tra l’altro, nelle scalette del Boss.

Oppure sta dentro al rock’n’roll di Summertime blues o di Shout. O, ancora, nei nomignoli di strada come Spanish Johnny e Puerto Rican Jane, che popolano la lunga Incident on 57th Street. O nelle fughe d’amore giovanile di Rosalita.

Fatto sta che Springsteen, nonostante i suoi 63 anni, resta di un’altra categoria. Non tanto, o non solo, per la durata dei suoi concerti (ieri sera ha suonato tre ore e mezzo), la bravura della band, la bellezza delle canzoni che ha scritto in quarant’anni di carriera. Ma proprio per questo rapporto viscerale che nasce con il pubblico. Che sia un fan o un profano, quasi nessuno esce indifferente dai suoi live.

Il concerto all’Ippodromo delle Capannelle per il Postepay Rock in Roma, che raccoglie più di 30mila spettatori ed è l’ultima tappa del suo tour italiano, si apre attorno alle 20.45, mentre il sole sta tramontando. La band entra sulle note di C’era una volta il west di Ennio Morricone, accolta dagli applausi.

Il Boss non si vede, per il momento. Poi dal retro del palco spunta la sua voce. “Can you feel the spirit?”, urla Springsteen. E attacca Spirit in the night, canzone estratta dal suo disco d’esordio, Greetings from Asbury Park, N.J.

L’intensità del concerto, già nei primi pezzi, è altissima. Seguono My love will not let you down e una *Badlands *disperata, cantata come se fosse l’ultimo brano in scaletta. Ma siamo appena all’inizio.

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Springsteen non dà tregua. Mentre un pezzo sta finendo, cambia chitarra, si avvicina al microfono, e fa partire il suo solito “1,2,3,4”. È un rito, con il quale lui riesce anche a giocare con un po’ di autoironia.

Dopo essersi avvicinato alle prime file, il musicista raccoglie un po’ di cartelli con le richieste del pubblico. E regala una la già citata Summertime blues, classico di Eddie Cochran, e la b-side di Glory days, Stand on it.

Su Working on a highway, altra richiesta degli spettatori, accenna qualche passo di danza, mentre agita la sua chitarra acustica. She’s the one, che arriva dopo l’intro di Not fade away è invece lunga, messianica, fino al crescendo finale con le chitarre elettriche e la batteria di Max Weinberg.

Poi arriva la sequenza dedicata a The Wild, the innocent & the E Street shuffle con Kitty’s back, Incident on 57th Street, Rosalita e New York City serenade. Una soddisfazione per i fan storici. Bobby Jean è sempre una grande canzone. Mentre con Waitin’ on a sunny day e The rising Springsteen si concede qualche momento più da stadio.

A chiudere il set regolare ci pensa Land of hope and dreams. Siamo già quasi a tre ore di concerto.

I bis sono un tripudio. Durante Born in the Usa e Born to run tanti perdono gli ultimi residui della voce.

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In* Dancing in the dark* si consumano i soliti siparietti con le ragazze del pubblico. Si rischia di scadere un po’ nel kitsch, ma a Springsteen lo si può, e lo si deve, perdonare.

Con Tenth Avenue freeze out il Boss celebra la storia dell’E Street Band, e ricorda “Big man” Clarence Clemons e Danny Federici, due membri storici del gruppo che non ci sono più.

E poi si balla, con Twist and shout *e *Shout, omaggi al vecchio rock’n’roll. Quello che Springsteen ascoltava alla radio da ragazzino, prima di cominciare a suonare nei club delle coste del New Jersey con i Castiles.

Quando Springsteen suona Thunder road la mezzanotte è passata da venti minuti. Il pubblico è esausto. E il vestito di Mary, le corse in automobile, alla ricerca disperata della solita, maledetta terra promessa lasciano a tutti un po’ di malinconia dopo l’ubriacatura di gioia delle tre ore precedenti.

Springsteen è sudato fradicio. E sorride, continua a sorridere dall’inizio del concerto. Con la sua faccia da rockstar operaia, che da sempre sta, o cerca di stare, con gli ultimi piuttosto che con i primi.

Mentre lascia il palco dice “Roma ti amo”. Detta da un altro, poteva sembrare una frase ruffiana. Ma non troverete nemmeno uno degli spettatori di Capannelle che non gli ha creduto.

Scaletta:

  1. Spirit in the night

  2. My Love will not let you down

  3. Badlands

  4. Death to my hometown

  5. Roulette

  6. Lucky town

  7. Summertime blues

  8. Stand on it

  9. Working on a highway

  10. Candy’s room

  11. Not fade away/She’s the one

  12. Brilliant disguise

  13. Kitty’s back

  14. Incident on 57th Street

  15. Rosalita

  16. New York City serenade

  17. Shackled and drawn

  18. Darlington county

  19. Bobby jean

  20. Waitin’ on a sunny day

  21. The rising

  22. Land of hope and dreams

Encore:

  1. Born in the Usa

  2. Born to run

  3. Dancing in the dark

  4. 10th Avenue freeze out

  5. Twist and shout

  6. Shout

  7. Thunder road (acustica)

Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma

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