Il 2015 non verrà ricordato come l’anno più bello della storia della musica leggera. Guardando agli anni passati, e in particolare al 2013, il livello si è abbassato. A parte To pimp a butterfly di Kendrick Lamar, non sono usciti dischi particolarmente innovativi. Ma ci sono comunque alcuni ottimi album da segnalare. Oltre al rapper statunitense, c’è stato il ritorno dei Blur, quello dei Tame Impala e ci sono state un paio di piacevoli sorprese (Holly Herndon e il progetto indiano di Shye Ben Tzur).

Avviso ai naviganti: questa è una lista strettamente personale e quindi parziale. Per esempio all’ultimo è rimasta fuori Courtney Barnett, che forse avrebbe meritato di stare nella lista. Si accettano suggerimenti e critiche. Anche qualche insulto, basta che sia creativo. Ecco le mie scelte per il 2015, buona lettura.

1. Kendrick Lamar, To pimp a butterfly
Il 2015 è stato un anno fortunato per la musica black di protesta. Soprattutto grazie a due dischi. Uno, Black Messiah di D’Angelo, in realtà è uscito alla fine del 2014 e non può essere incluso in questa classifica. L’altro è To pimp a butterfly del rapper statunitense Kendrick Lamar. Un album hip hop che scavalca i recinti del genere e si apre alle contaminazioni: dal funk psichedelico degli Sly and the Family Stone al cinema di Spike Lee, dall’elettronica al jazz. Tra gli ospiti ci sono George Clinton (Parliament, Funkadelic), Dr. Dre, il bassista Thundercat e il sassofonista Kamasi Washington.

To pimp a butterfly è un album politico, che riflette sulla condizione della comunità afroamericana statunitense (non è un caso che Alright sia diventato uno slogan delle manifestazioni per i diritti degli afroamericani) e sulle contraddizioni del capitalismo. Ma è soprattutto la storia di un conflitto interiore (fondata sulla metafora del bruco e della farfalla) e di una lotta contro la depressione. È il disco dell’anno anche per chi, come me, non è un purista dell’hip hop.

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2. Panda Bear, Panda Bear meets the grim reaper
Panda Bear fa parte degli Animal Collective, geniale gruppo statunitense. Panda Bear meets the grim reaper, uscito a gennaio, è uno dei suoi migliori dischi solisti. Il più solido dal punto di vista ritmico, uno dei più ispirati da quello melodico. Qui dentro ci sono così tanti loop azzeccati (Sequential circuits, Boys latin, Mr. Noah, Tropic of Cancer) da fare invidia ai musicisti di mezzo mondo.

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3. Father John Misty, I love you, Honeybear
C’è un altro album uscito quest’anno che fotografa bene gli Stati Uniti e, di riflesso, il mondo occidentale. Si tratta di I love you, Honeybear di Father John Misty. Parla d’amore, ma descrive una realtà più ampia.

I love you, Honeybear racconta una crisi diffusa delle coscienze, parla di mutui subprime, del fallimento del sogno americano già denunciato quasi quarant’anni fa da Bruce Springsteen (non è un caso che il pezzo-manifesto del disco si intitoli Bored in the U.S.A.). Lo fa con un’ironia feroce e soprattutto con un pugno di canzoni ispirate.

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4. Blur, The magic whip
A febbraio i Blur hanno convocato una conferenza stampa in un ristorante cinese di Londra e, spiazzando un po’ tutti, hanno annunciato l’uscita di un nuovo album. La cosa che stupisce dei nuovi Blur è che sono ripartiti esattamente da dove avevano lasciato, con la loro ostentata britishness e quel desiderio di cazzeggio che solo le band con le spalle larghe possono permettersi.

The magic whip è un bel disco, non uno specchietto per le allodole. A tratti suona un po’ superato, ma è onesto e ispirato. Canzoni come Lonesome street (che ricorda tanto i tempi di Modern life is rubbish e Parklife), Go out e My terracotta heart sono una manna per i nostalgici. Se vi piace il genere, non potete non essere contenti di risentire la voce di Damon Albarn andare a braccetto con i riff di Graham Coxon.

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5. Shye Ben Tzur, Jonny Greenwood and The Rajasthan Express, Junun
Una bella sorpresa. Registrato in India dal chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood insieme al compositore israeliano Shye Ben Tzur e al gruppo locale The Rajasthan Express, Junun è essenzialmente un album di musica etnica. I brani, scritti tutti da Ben Tzur, esaltano la bravura dei musicisti indiani. Greenwood non è al centro della scena, ma la sua chitarra ogni tanto viene fuori e aggiunge modernità all’insieme. L’outsider dell’anno.

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6. Joanna Newsom, Divers
Divers è il quarto disco di Joanna Newsom, talentuosa cantautrice e arpista californiana. È arrivato a cinque anni di distanza dall’ingombrante album triplo Have one on me. Non avrà i picchi del precedente, ma è più coeso e godibile (non solo perché contiene meno canzoni). È un lavoro più pop. E ci voleva, a questo punto della carriera di Newsom.

In alcuni pezzi (come Leaving the city e Sapokanikan) la cantautrice sembra aver raggiunto il dono della sintesi, mettendo insieme tutte le suggestioni della sua musica, sospesa tra sperimentazione, folk classica e suggestioni rococò.

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7. Holly Herndon, Platform
Il secondo disco della musicista statunitense Holly Herndon è un viaggio metafisico, una riflessione sul rapporto tra la mente umana e i computer. E non è un caso che la sua autrice viva nella Silicon valley.

Ogni brano ha avuto una genesi particolare: Chorus, per esempio, è stato composto campionando i suoni prodotti dal browser, dalle email e dall’account YouTube della Herndon, mentre Home parla delle intercettazioni fatte dall’agenzia governativa Nsa. L’album di musica elettronica più innovativo del 2015.

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8. Tame Impala, Currents
Kevin Parker, il padre-padrone dei Tame Impala, ha un gusto per gli arrangiamenti difficile da trovare tra i musicisti della sua generazione. Le canzoni che scrive non sono sempre memorabili, ma gli album hanno una coerenza invidiabile. Questo succede anche in Currents, un disco nel quale la band abbandona i territori sixties degli esordi e si sposta verso l’elettronica e la disco music. Lonerism era meglio, ma questo è comunque un ottimo album.

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9. Alabama Shakes, Sound & color
Gli Alabama Shakes sono molto bravi a tenere viva la tradizione del rock e del soul anglofono. Se vi piacciono i Creedence, i Led Zeppelin, Elvis, ma anche le Dixie Chicks, dategli una possibilità. Sound & color è il loro secondo album ed è superiore al precedente Boys & girls, soprattutto grazie a un suono più maturo. Brittany Howard è una grande frontwoman: suona bene e canta da dio. Per gli amanti del same old sound.

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10. Grimes, Art angels
Art angels è un disco intelligente, che saccheggia in modo spietato il pop contemporaneo. Dentro c’è il k-pop, c’è Katy Perry, ma anche Madonna e la musica da rave. In Scream Grimes duetta con la rapper taiwanese Aristophanes, in Kill V.maim canta come Avril Lavigne sotto ostaggio dei Prodigy. In altri pezzi, come in California, sembra Taylor Swift sotto lsd. Realiti è il pezzo discopop del 2015.

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Se interessa, ho fatto una playlist su Spotify, scegliendo due canzoni per ogni album. E ho aggiunto i due artisti che, per motivi diversi, ho dovuto escludere: Courtney Barnett e D’Angelo.

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