Quando è uscita su Netflix il 15 luglio, Stranger things è partita in sordina. Non era stata anticipata da particolari operazioni di marketing e non era tra le più attese del 2016. Eppure la serie, che racconta una storia a cavallo tra fantascienza e horror, a meno di un mese dalla sua pubblicazione ha già raccolto un grande successo di pubblico e critica.

Stranger things è stata scritta e diretta da Matt e Ross Duffer. Nel cast ci sono, tra gli altri, Winona Ryder (tornata a un ruolo di primo piano dopo qualche anno di relativo anonimato), David Harbour, Finn Wolfhard, Millie Bobby Brown, Gaten Matarazzo e Caleb McLaughlin. La serie è composta in tutto da otto episodi, che durano dai 42 ai 55 minuti. Shawn Levy, già regista di Una notte al museo e Real steel, è uno dei produttori esecutivi.

Di cosa parla Stranger things

Siamo nella cittadina di Hawkins, nell’Indiana, nel novembre del 1983. Una misteriosa creatura scappa da un laboratorio segreto del governo statunitense. Poche ore dopo, Will Byers, un ragazzino di 12 anni, scompare nel nulla. Quando si accorge della scomparsa, la madre Joyce (Winona Ryder) contatta le forze dell’ordine e il capo della polizia, Jim Hopper, lancia una ricerca in tutta la zona.

Anche gli amici di Will (Mike, Dustin e Lucas) si mettono sulle sue tracce ma incontrano Eleven, una ragazzina con poteri telecinetici fuggita dallo stesso laboratorio e braccata dagli agenti governativi. Nel frattempo, la creatura resta a piede libero.

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Da Spielberg a Stephen King

Uno dei punti di forza di Stranger things, e forse la principale ragione del suo successo, è il suo brillante uso delle citazioni. Mike e gli altri ragazzini girano su biciclette come i protagonisti di E.T., comunicano con i walkie talkie e nella scena iniziale della serie giocano a Dungeons & dragons.

Alcune sequenze, poi, sembrano prese in prestito da Incontri ravvicinati del terzo tipo, altre somigliano un po’ a quelle dei Goonies . Il lato horror della serie invece ricorda da vicino i film di John Carpenter (nella camera di Mike c’è un poster della Cosa) o i libri di Stephen King (su tutti Stand by me).

El, la ragazza con i superpoteri che è la vera chiave narrativa della storia, è palesemente ispirata all’extraterrestre creato da Steven Spielberg. La scelta di mettere nel cast Winona Ryder, star degli anni ottanta e novanta in film come Beetlejuice, Schegge di follia e Edward mani di forbice, è coerente con questo spirito nostalgico.

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Nella serie ci sono diverse canzoni degli anni settanta e ottanta, ma anche più recenti. La colonna sonora originale, composta da brani strumentali di musica elettronica, è stata scritta e registrata da Kyle Dixon e Michael Stein della band statunitense Survive.

Qualche appassionato, come Ulysse Thevenon, ha raccolto tutte le citazioni presenti nel film, confrontandole con le fonti originali.

Attenzione: questo video contiene spoiler.

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Questo citazionismo nostalgico è, paradossalmente, anche il punto debole della serie: tutto gira per il verso il giusto, le scene sono ben girate e ottimamente recitate, ma non c’è quasi niente di davvero originale in Stranger things.

Come ha scritto Willa Paskin su Slate: “Se avete un debole per i film di Spielberg degli anni ottanta e per gli horror, consideratevi soddisfatti. (…) Se qualcuno però volesse davvero fare un omaggio al regista, potrebbe provare a trasportare i suoi temi nel presente, così nella serie i giovani potrebbero rivedere sé stessi e non la giovinezza dei registi. Gli smartphone non sono forse i walkie talkie migliori di sempre?”.

Nerd al potere

Stranger things si distingue anche per l’ottima recitazione degli attori. Ryder è perfetta nella sua parte di madre isterica, David Harbour è convincente nel ruolo del poliziotto tormentato.

Ma soprattutto sono molto bravi i quattro ragazzini nerd, in particolare Finn Wolfhard (Mike), e Millie Bobby Brown (El), mentre funziona meno il filone liceale legato alla sorella di Mike, Nancy, che spesso sembra più che altro un espediente per allungare il brodo.

Come ha scritto Lucy Mangan sul Guardian, “Tutti i bambini attori sono così bravi da confermare il mio giudizio sull’Area 51: non ha niente a che fare con gli alieni, ma è il posto in cui Hollywood alleva i suoi giovani talenti”.

Il dialogo tra immagini e musica è sempre ben studiato e regala alcuni momenti intensi, uno su tutti quello nel terzo episodio in cui viene fatta una scoperta importante (vi evito lo spoiler), con in sottofondo Heroes nella versione di Peter Gabriel.

Di storie sulla rivincita dei nerd ne abbiamo già avute parecchie negli ultimi anni, a partire da The big bang theory. Ma Stranger things ha un fascino diverso: la sua forza è infatti quella di staccarsi dal citazionismo fine a sé stesso, un episodio dopo l’altro, e di virare sempre di più verso territori più cupi e fantascientifici. È una serie brillante e ben raccontata, non solo per i fan della fantascienza e degli anni settanta e ottanta.

E ora?

Non si hanno ancora conferme su un’eventuale seconda stagione, ma visto il finale (evito di addentrarmi in particolari) sembra evidente che ci sarà uno Stranger things 2. Gli stessi registi, parlando con Esquire, hanno ammesso che sono già al lavoro.
“Matt e io siamo pienamente concentrati e stiamo raccogliendo le idee per quello che noi chiamiamo un sequel”, ha detto Ross Duffer.

Anche l’amministratore delegato di Netflix, Reed Hastings, ha dichiarato che sarebbe “stupido” non approfittare del successo dello show. Di materiale per far andare avanti la storia ce n’è. Vedremo se saranno ancora i fratelli Duffer a occuparsi del seguito. In quel caso, si può essere discretamente ottimisti.

P.S. Su Spotify gira una playlist con le canzoni contenute nella serie (qui l’elenco dei brani). Per questioni di diritti non c’è Heroes di Peter Gabriel, la mia preferita, ma è comunque tutta ottima musica: ci sono Jefferson Airplane, Joy Division, Clash, Echo & the Bunnymen e altri.

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