C’è anche una parola per definirlo: filantrocapitalismo. Per festeggiare la nascita della figlia, Mark Zuckerberg ha annunciato che insieme alla moglie Priscilla Chan donerà il 99 per cento delle sue azioni di Facebook alla Chan Zuckerberg initiative. La notizia ha creato una certa effervescenza collettiva. In fondo si tratta pur sempre di 45 miliardi di dollari: più o meno il pil della Tunisia o della Serbia.
Lasciamo per un attimo da parte ogni discussione su quanto sia scandaloso che un singolo individuo abbia tutti quei soldi. In realtà, come spiega Jesse Eisinger sul New York Times, e a pagina 122 di questo numero, Zuckerberg ha semplicemente “spostato i suoi soldi da una tasca all’altra”. La Chan Zuckerberg initiative non è una fondazione non profit, ma una limited liability company, vale a dire una società privata che può generare profitti e che, come tutte le società private, è libera di fare investimenti di ogni tipo senza nessun obbligo di trasparenza. In più, donando azioni anziché soldi, non pagherà le tasse sull’aumento di valore delle stesse azioni.
Tutto legale, ma ogni dollaro di tasse non pagato è un dollaro in meno nelle casse dello stato che potrebbe essere usato per finanziare, per esempio, la scuola pubblica, il cui budget annuale negli Stati Uniti è di 69 miliardi di dollari. Con la Chan Zuckerberg initiative il fondatore di Facebook ha detto di voler aiutare l’istruzione, ma a modo suo, senza discutere con nessuno quali progetti finanziare. Non che il sistema pubblico, negli Stati Uniti come altrove, sia perfetto o esente da critiche, ma non è aggirandolo che lo si può migliorare. Se Zuckerberg vuole sul serio aiutare la scuola o il suo paese, può semplicemente pagare le tasse su tutti i guadagni, oppure trovare il modo di mettere davvero i suoi soldi al servizio della collettività.
Questa rubrica è stata pubblicata l’11 dicembre 2015 a pagina 7 di Internazionale, con il titolo “Soldi”. Compra questo numero | Abbonati
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