I libri di storia parleranno di noi come di quella generazione di europei che rimase indifferente mentre una strage avveniva sotto i suoi occhi. The Migrant files, un consorzio di giornalisti, si ostina ad aggiornare il dato combinando il lavoro di verifica di Gabriele Del Grande e quello di United for intercultural action: dal 1988 al 25 maggio del 2016 le persone morte cercando di raggiungere l’Europa sono state 32.040. Ma è un dato con un margine di errore enorme, un calcolo per difetto che non tiene conto per esempio delle tante imbarcazioni naufragate senza notizia.
La migrazione è uno degli elementi che caratterizza la nostra specie, è parte di quello che siamo. L’umanità è stata in movimento per millenni. E oggi ci troviamo davanti al paradosso di paesi industrializzati che devono affrontare una gravissima crisi demografica, con conseguente scarsità di manodopera, e al tempo stesso impediscono l’ingresso a persone che cercano disperatamente un lavoro. Tutto questo perché molti cittadini europei, spesso istigati da politici senza scrupoli che fanno leva sulla paura e sull’ignoranza per raccogliere più voti, pensano che i migranti gli faranno perdere il lavoro e mineranno la sicurezza sociale. Ma non è vero: i migranti aiutano l’economia.
In uno studio su quindici paesi europei pubblicato sul settimanale scientifico New Scientist, l’Organizzazione internazionale del lavoro ha calcolato che a ogni aumento dell’1 per cento della popolazione di un paese dovuto ai migranti, il prodotto interno lordo cresce tra l’1,25 e l’1,5 per cento. E la Banca mondiale ha stimato che se la forza lavoro dei paesi più ricchi crescesse del 3 per cento con i migranti, il pil mondiale aumenterebbe di almeno 356 miliardi di dollari entro il 2025. Chi alimenta la xenofobia non si rende solo complice di una strage: ci sta anche sottraendo ricchezza, benessere, sviluppo.
Questo articolo è stato pubblicato il 2 giugno 2016 a pagina 7 di Internazionale, con il titolo “Movimento”. Compra questo numero| Abbonati
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