Donald Trump ha vinto grazie a Facebook? Sono in molti a sostenerlo. Ma Trump ha vinto per altre ragioni: economiche, politiche, storiche, per mancanza di alternative. Sarebbe riduttivo, e in parte anche autoassolutorio, pensare che se Facebook non fosse esistito le elezioni sarebbero andate diversamente.
Al tempo stesso è innegabile che Facebook possa essere sfruttato per alimentare un clima di esasperazione e sia diventato un formidabile veicolo di diffusione di notizie inventate. Le bufale, però, sono sempre esistite. Per esempio, tra il 2001 e il 2003 il New York Times pubblicò una serie di articoli sostenendo che l’Iraq aveva gli strumenti per produrre armi di distruzione di massa. Come poi si sarebbe scoperto, non era vero. Ma la bufala ebbe un ruolo importante nel convincere una parte degli statunitensi che era necessario invadere l’Iraq, una scelta disastrosa di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
Scrive Ben Thompson, esperto di mezzi di comunicazione, che al di là di cosa è vero e cosa è falso, quello che conta è chi decide cos’è una notizia. E nel caso delle armi dell’Iraq, il fatto che gli articoli fossero usciti sul New York Times fu determinante. Non dovremmo, però, chiedere che sia Facebook a svolgere il ruolo di arbitro delle notizie, di censore delle bufale: non è il suo mestiere, e sarebbe pericoloso se cominciasse a farlo.
Chi usa Facebook per esasperare il clima del dibattito a proprio vantaggio, e certamente Trump l’ha fatto, sta solo sfruttando una condizione che sono gli stessi mezzi d’informazione ad aver determinato, piegandosi alla “dittatura del traffico”, come la chiama il giornalista francese Frédéric Filloux, privilegiando cioè la velocità rispetto all’accuratezza, la quantità rispetto alla qualità, un ciclo dell’informazione istantaneo e superficiale rispetto al passo lento dell’approfondimento ragionato.
Questa rubrica è stata pubblicata il 25 novembre 2016 a pagina 7 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati
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