07 dicembre 2016 11:46

Duemilaseicentodiciassette. È il numero di volte che, in media, tocchiamo, clicchiamo o scorriamo il dito sullo schermo del nostro telefono durante il giorno. Lo sostiene una ricerca della società statunitense Dscout’s. Una persona su dieci guarda il telefono in piena notte, tra le due e le sei di mattina. In tutto, usiamo lo smartphone per cinque ore al giorno. E i quarantenni lo usano più dei ventenni. Ma non siamo consapevoli della nostra dipendenza, anzi: le persone pensano di guardare il telefono la metà delle volte rispetto a quanto succede in realtà. Tutti siamo convinti che siano gli altri a esagerare.

Nell’articolo che pubblichiamo questa settimana, Andrew Sullivan parte dalla sua esperienza personale: un giornalista che, tra i primi negli Stati Uniti, ha deciso di buttarsi nell’avventura del web, aprendo nel 2000 quello che poi sarebbe diventato uno dei blog più popolari, The Daily Dish. Quindici anni dopo, Sullivan si ritrova distrutto fisicamente e mentalmente, intrappolato in “una galleria del vento assordante e soffocante”, fatta di parole e immagini, suoni e idee, emozioni e invettive. La storia di Sullivan è forse un caso limite, ma segnala un fenomeno su cui tanti stanno cercando di ragionare. Per esempio la scrittrice e attivista Rebecca Solnit, che in un saggio dell’anno scorso racconta: “Mi sento come in un brutto film di fantascienza, in cui tutti prendono ordini da piccole scatole direttamente collegate a entità aliene superiori”.

È vero che ogni generazione vede le innovazioni tecnologiche come potenzialmente devastanti. Nel dodicesimo secolo il poeta cinese Yang Wanli esortava a non leggere i libri (meglio fare una passeggiata oppure andare a dormire) e, qualche secolo più tardi, Italo Calvino metteva la lettura dei quotidiani tra le fonti di distrazione: “Ogni giorno mi dico che leggere i giornali è una perdita di tempo, ma poi… non posso farne a meno”. Però è anche vero che non tutte le tecnologie sono uguali. “Tutti conosciamo le gioie del nostro mondo sempre connesso”, scrive Sullivan, “solo ora, però, stiamo cominciando a valutarne i costi, ammesso che siamo disposti ad accettare che ce ne siano”. Nel dubbio, potremmo provare a spegnere il telefono più spesso.

Questo articolo è stato pubblicato l’8 dicembre 2016 a pagina 9 di Internazionale con il titolo “Connesso”. Compra questo numero| Abbonati

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