Regolarizzare gli immigrati dimezza il tasso di criminalità. Paolo Pinotti, docente dell’università Bocconi di Milano, ha appena pubblicato un articolo sull’American economic review in cui analizza il rapporto tra permessi di soggiorno e propensione a commettere reati.

Anche se ormai sono stati molto ridotti, dal 1998 in Italia il governo stabilisce quanti permessi di soggiorno per motivi di lavoro possono essere concessi ogni anno. Le domande sono presentate per via elettronica dai datori di lavoro in uno specifico giorno, il “clic day”, e sono elaborate in ordine cronologico. Poiché l’ordine d’arrivo è decisivo, tutti presentano la domande al mattino presto e dopo un po’ il flusso si riduce. Il clic day del dicembre 2007, analizzato da Pinotti, è cominciato alle 8 e l’ultima domanda accettata è arrivata alle 8.27. Sono state accolte 170mila domande su 610mila presentate.

Pinotti ha visto che il tasso di criminalità tra gli stranieri che avevano ottenuto il permesso di soggiorno si è dimezzato nell’anno successivo, mentre per gli altri è rimasto invariato. “Entrare nel mercato del lavoro legale fa da deterrente a invischiarsi in situazioni criminose”, ha spiegato Pinotti al Sole 24 Ore. “Se è la condizione di illegalità, e non lo status di immigrato, a far aumentare i tassi di criminalità, dobbiamo concludere che le quote di permessi di soggiorno assegnati ogni anno sono troppo basse”. Quindi sarebbe facile risolvere il problema. Ma gli immigrati irregolari sono utili a molti.

Ai partiti populisti e xenofobi, per avere uno spauracchio da agitare, e ai datori di lavoro disonesti, per avere a disposizione manodopera a basso costo e senza diritti. Non stupisce che Matteo Salvini non ascolti i suggerimenti di buon senso della Bocconi, che pure non è esattamente un circolo rivoluzionario. Ma che non li ascolti neanche il governo di centrosinistra è davvero sconcertante.

Questa rubrica è stata pubblicata il 3 marzo 2017 a pagina 9 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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