Ci sono diversi tipi di ottimismo. C’è l’ottimismo del quotidiano danese Politiken, che in un editoriale uscito a capodanno scrive: “Viviamo nei tempi migliori che l’umanità abbia mai conosciuto”. Non che i problemi siano spariti, dice Politiken, ma se guardiamo le cose dal punto di vista dell’intera umanità non possiamo non notare che negli ultimi decenni alcuni indicatori fondamentali sono migliorati: è aumentata la speranza di vita globale, è diminuita la povertà.

C’è l’ottimismo dei mercati finanziari. Venerdì scorso, dopo l’annuncio dell’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, le azioni delle principali aziende statunitensi del settore della difesa sono aumentate, anche se per il resto della borsa di Wall street è stata una giornata negativa. Le azioni della Northrop Grumman, che produce il bombardiere B-2, sono aumentate del 5,4 per cento, quelle della AeroVironment (droni usati dall’esercito) sono aumentate del 6,9 per cento, quelle della Lockheed Martin (caccia F-35) del 3,6 per cento, eccetera.

Ma non c’è solo l’ottimismo di chi è contento per come vanno le cose, c’è anche l’ottimismo di chi non è affatto contento per come vanno le cose e le vorrebbe cambiare. È quello di cui parla Noam Chomsky: “L’ottimismo è una strategia per un futuro migliore. Perché se non credi che il futuro possa essere migliore, è improbabile che tu ti faccia avanti e ti assuma la responsabilità di cambiare le cose. Se dai per scontato che non c’è speranza, ti garantisci che non ci sarà speranza. Se invece pensi che ci sia una spinta istintiva alla libertà, c’è la possibilità di cambiare le cose e che tu contribuisca a migliorare il mondo. La scelta è tua”. È l’ottimismo di chi scende in piazza per manifestare, di chi discute e s’impegna, di chi pensa che ci sia sempre un’alternativa, di chi immagina un futuro diverso e lo vuole migliore. Malgrado tutto, un buon modo per cominciare il nuovo anno.

Questo articolo è uscito sul numero 1340 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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