Farhad Khosrokhavar, Radicalisation
Edition Maison des Sciences de l’Homme, 191 pagine, 12 euro
Secondo Farhad Khosrokhavar, sociologo e studioso della rivoluzione iraniana, il jihadismo islamico non va letto come un’ideologia specifica e separata dall’occidente, ma come la forma più estrema e conturbante di un fenomeno più ampio: la “radicalizzazione”. Questa consiste in una forma di utopia “stravolta”, incapace cioè di impegnarsi in un progetto politico collettivo come quello che tende alla costruzione di una nazione. La radicalizzazione, al contrario, si fonda sul sentimento di aver subìto una profonda umiliazione e sulla volontà di infliggerne una altrettanto grave.
Sotto questo aspetto la radicalizzazione accomuna movimenti del passato come il luddismo, l’anarchismo di fine ottocento, il terrorismo di sinistra degli anni settanta e anche certi movimenti attuali di estrema destra. Oggi però la prevalenza di canali di comunicazione isolati come lo sono, per motivi diversi, il carcere e internet consente ai movimenti radicali di prosperare.
Così, Al Qaeda e le altre organizzazioni riescono a sfruttare l’insoddisfazione suscitata dal fallimento delle primavere arabe, e nei paesi europei sono avvantaggiate dalla crisi della sinistra e dei sindacati, che in altri momenti hanno saputo dare risposte alla frustrazione individuale. Solo agendo sulle radici di questa frustrazione è possibile affrontare un fenomeno capace di mutare e di adattarsi.
Questo articolo è stato pubblicato il 5 febbraio 2015 a pagina 86 di Internazionale, con il titolo “Le radici della distruzione”. Compra questo numero | Abbonati
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