Roberta Sassatelli, Marco Santoro, Giovanni Semi, Fronteggiare la crisi
Il Mulino, 344 pp., 28 euro

Dalla fine della seconda guerra mondiale quello che chiamiamo “ceto medio” è andato crescendo insieme all’economia. All’inizio degli anni novanta, in Italia, era diventato più grande e complesso che mai: tre quinti degli italiani appartenevano a una classe diversa da quella di origine. La mobilità ascendente, però, era stata scarsa per i più poveri, al vertice non c’era stato un vero ricambio e per i giovani era stato più difficile raggiungere le posizioni migliori.

La lunga crisi economica cominciata nel 2008 ha aggravato questi problemi e recentemente chi fa parte del ceto medio, che non è affatto scomparso, ha visto peggiorare molto i suoi redditi. Questo libro cerca di capire come gli abitanti di due quartieri di Milano e Bologna stanno reagendo al cambiamento e lo fa attraverso l’analisi dei loro consumi (casa, cibo, cultura e istruzione) e del modo in cui si descrivono. Dallo studio non emerge tanto una catastrofica polarizzazione tra ricchi e poveri, ma un aumento del divario tra la “conoscenza”, ovvero ciò che le persone possono sapere, fare e dire, e il “riconoscimento”, ovvero ciò che le persone effettivamente riescono a sapere, fare e dire. È questo divario a generare incertezza in un ceto che rischia di non contribuire più allo sviluppo dell’equità e della democrazia e prendere invece tutt’altre direzioni.

Questa rubrica è stata pubblicata il 27 novembre 2015 a pagina 100 di Internazionale, con il titolo “Preparati ma frustrati”. Compra questo numero| Abbonati

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