Stefano Liberti, I signori del cibo
Minimum fax, 327 pagine, 19 euro
La tesi di questo libro è semplice da riassumere: la produzione di cibo è sempre più lontana dai luoghi del suo consumo perché dipende soprattutto dalle logiche della finanza. Stefano Liberti, giornalista d’inchiesta, la espone con ricchezza di esempi e ritmo di racconto, seguendo le filiere di quattro prodotti globali: carne suina, soia, tonno in scatola e pomodoro concentrato.
Va a vedere cosa succede nei luoghi da cui partono e in cui transitano questi cibi-merce: dalla Cina, dove il consumo di carne di maiale nel giro di una generazione è passato da 8 a 39 chilogrammi a testa ogni anno, al North Carolina dove i maiali si allevano come polli; dal Mato Grosso, dove si coltiva la soia quasi senza contadini, alla Manciuria, dove i coltivatori di soia non lavorano più; dal Senegal predato dai pescatori europei allo Xinjiang dove si piantano pomodori per tutto il mondo.
Le storie che raccoglie mostrano le conseguenze di questo processo: esclusione di lavoratori, urbanizzazione di contadini, cambiamenti geopolitici e aumento della disuguaglianza economica. Difficilmente un libro chiarisce in modo altrettanto evidente, con immagini efficaci, quanto i processi che chiamiamo globalizzazione passino attraverso ciò che facciamo ogni giorno, più volte al giorno, semplicemente mettendoci a tavola.
Questa rubrica è stata pubblicata il 14 ottobre 2016 a pagina 84 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati
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