L’ultimo film di Aleksandr Sokurov, dedicato al Louvre, può sembrare meno nuovo di quello dedicato all’Ermitage (Arca russa, del 2002), ma è alla lunga più convincente. La sbalorditiva perizia tecnica dell’Arca – una sola sequenza ininterrotta – e il fascino della rievocazione storica potevano alla fine stordire, ma capitava anche di correre a casa, dopo aver visto quella magistrale idealizzazione del fascino di un luogo e di un tempo, per rivedere sadicamente le scene dell’Ottobre di
Ėjzenštejn in cui il popolo invade l’Ermitage (la reggia degli zar!) e si accanisce in un’opera di distruzione liberatoria.

Francofonia è più affine al genere del film-saggio che al film di poesia da cui Sokurov era partito, un modello che oggi ha una vitalità e una attualità centrali nella cultura contemporanea, e a quella ibridazione tra documento vero e documento finto, di bianco e nero e colore, e all’indicazione sicura di vero e di reinventato, sempre accompagnati dalla voce fuori campo dell’autore. È retto da una dialettica tesa e convincente, da una riflessione sensata sul rapporto con l’arte della cultura europea.

Tema del film è in definitiva il ruolo dell’arte nella storia della Francia e più in generale nella storia d’Europa, il rapporto tra arte e storia dentro e oltre le vicissitudini della politica. Si parla soprattutto della seconda guerra mondiale e dell’occupazione tedesca della Francia, ma anche di prima, della rivoluzione francese e poi di Napoleone, mettendo a fianco le contrastanti figure della Marianna dell’iconografia rivoluzionaria – che ripete continuamente il suo “Libertà, uguaglianza, fraternità” – e del Napoleone megalomane delle grandi imprese.

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Il museo è visto come un aspetto centrale dell’identità nazionale, del suo rapporto con la cultura del proprio passato e con quella degli altri popoli, della necessità e del ruolo della memoria per la dimostrazione del tormentato cammino dell’umanità e della sua capacità di elevarsi sul bisogno e sulla natura, di essere cultura e civiltà.

Il montaggio è essenziale, in un’opera come questa, guidato dalla voce dell’autore, dal suo modo di ragionare e di dare un’espressione tesa e convincente a un discorso teorico che procede mescolando i tempi e i modi, ma concentrandosi infine sul rapporto tra il conservatore del grande museo e il rappresentante delle truppe d’occupazione, funzionario come lui e altrettanto convinto dell’importanza del proprio ruolo, cioè di funzionari che sanno di rappresentare lo stato e la sua continuità, mentre i politici mutano.

Questo rapporto si fa sempre più stretto, perché entrambi hanno un concetto simile dell’arte e della storia, e della necessità della conservazione delle opere in una visione, infine, più europea che nazionale. Siamo molto lontani dalle rievocazioni recenti dei salvatori di opere d’arte, variante avventurosa di un genere cinematografico, il film di guerra, dalle rozze semplificazioni. In Francofonia il francese e il tedesco pensano allo stesso modo (il tedesco affascinato dalla cultura francese come il protagonista del Silenzio del mare di Jean-Pierre Melville).

In un mondo come quello odierno, retto da poteri che credono di poter fare a meno della memoria e la vedono anzi come un intralcio alla loro opera di distruzione e dominio, in un mondo che tratta la storia alla stregua di un videogame, un’opera come Francofonia si muove in direzione esattamente opposta, in difesa della memoria e della storia e di coloro – i funzionari della conservazione delle opere, ma potremo allargare con la conservazione della natura e del paesaggio – che fanno di questa difesa lo scopo della loro vita, un “servizio” fondamentale anche se nell’ombra.

Francofonia comincia con la morte di Tolstoj e la morte di Čechov, e torna spesso a parlare di Russia, per esempio con l’evocazione dei massacri di Stalingrado, perché Sokurov non può fare a meno di tornare al centro della sua ispirazione e della sua identità. È alla lezione umanistica di quei due grandi che si richiama, anche se è saturo di immagini e confronti che vengono dalla generazione successiva della cultura russa, quella dei primi anni post-rivoluzionari, che tuttavia rinnega. Pensa all’Europa in una visione diversa da quella dell’Europa occidentale, ma crede nell’Europa e la sola grande pecca del suo film è di considerare le culture altre solo come “bottino” dell’Europa. Francofonia è un film estremamente eurocentrico. Era giusto che Napoleone, per esempio, s’impadronisse a maggior gloria della Francia, delle grandi opere di altre civiltà e di altri paesi, di un altro passato?

Nelle ultime immagini del film, quando infine appare la Gioconda, cuore del Louvre, è lei che sembra guardare ironicamente agli affanni della storia, a Napoleone e alla Marianna che la osservano. Sokurov vuole ricordarci che c’è qualcosa di più profondo e importante della politica e della stessa storia, qualcosa che forse solo l’arte è riuscita a esprimere, giustificando così la passione dei funzionari, la necessità di una conservazione che ha finalità di monito e di indicazione, non solo di godimento estatico, peraltro oggi estremamente manipolato. Il bisogno di qualcosa che ricordi all’uomo la transitorietà delle sue esperienze e la sua fragilità, ma anche le sue potenzialità e la sua dignità.

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