C’è chi si diverte da matti a vedere tre ore di uno splatter cupo e mortuario girato con inutile maestria da un citazionista accanito che gode a mostrare sangue e vomito e agonie e a ricordarci sghignazzando che tutto è urlo e furore, l’Uomo e la Storia, e c’è anche chi, come me che qui scrivo, si annoia e sbadiglia.
Certo, si ammira l’abilità tecnica, e si pensa che, ahinoi, qualcosa di vero c’è nella visione del mondo che hanno i tarantini e i tarantinati, ma non si può fare a meno di compiangerli, pronti come sono ad applaudire i massacri e forse anche a massacrare, ma non ancora a farsi massacrare come è probabile che possa invece capitare anche a loro, dato lo stato del mondo e delle cose.
The hateful eight
Tarantino e i suoi fan sono, insomma, la spia di qualcosa che va oltre il cinema, e su cui si ragiona troppo poco. Ma per fortuna, ci si dice subito dopo, sono solo canzonette, una cosa di rapida digestione e di rapida dimenticanza, dato che, come dice un personaggio del film, la madre dei bastardi (ma io ho molto rispetto per i bastardi, sale della terra) è sempre incinta. Anche la madre dei nazisti, diceva un tal Brecht, molti anni fa.
The hateful eight è un film che ne evoca altri, senza però avere né la spavalda allegria dei Corbucci e dei Fulci, e rifuggendo dai silenzi ieratici dei Leone. Anzi, qui la chiacchiera domina, e ha detto bene chi ha citato Agatha Christie per l’interminabile atto unico che copre il film, teatro naturalistico e tremendista che ha tutta una storia anche americana e si chiamava un tempo grand guignol.
Tutto si riduce al whodunit hitchcockiano: chi è l’assassino tra gli abominevoli protagonisti maschili, fatti fuori uno via l’altro? E sì che il richiamo della foresta londoniano – la dura lex della lotta per la sopravvivenza – ha avuto molto da insegnarci, anche nella letteratura statunitense e nel cinema statunitense (e consiglio a chi non l’abbia mai visto di cercare un dvd di Notte senza legge di André De Toth, 1959, per ritornare alle origini di quella visione western del mondo e all’amara necessità di doversi confrontare con la violenza).
Quelle opere avevano e hanno ancora oggi, nella nuova barbarie della postmodernità, di che istruirci oltre che divertirci, nella produzione culturale alta come nella bassa.
Ma non è dalle parti di Tarantino e dei tarantinati che s’impara qualcosa, compiaciuti come sono dell’umano orrore e dell’umana stupidità, pronti a intervenire attivamente nella collaborazione al disastro, i pochi, e ammaestrati a subirlo i tanti, i più.
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