Annie Ernaux, L’altra figlia
L’orma, 82 pagine, 8,50 euro
Dopo Il posto e Gli anni, L’orma ci regala un altro bellissimo récit o memoir di Annie Ernaux, scrittrice francese che ha scavato nel suo vissuto per una sete di conoscenza ben diversa dai narcisismi del nostro tempo.
Nel 1950, quando ha dieci anni, Annie apprende dal dialogo tra la madre e un’altra donna di avere avuto una sorella morta a sei anni di difterite, due anni prima che lei nascesse. È il confronto con questa rivelazione che Ernaux ci racconta (“Bisognava che tu morissi a sei anni affinché io potessi venire al mondo ed essere salvata. Orgoglio e senso di colpa nell’essere stata scelta per vivere, in un disegno indecifrabile”), rivelazione nella quale scava con dolorosa serietà per capire se stessa, i suoi, la vita e il nostro rapporto con i morti, la loro silenziosa, forte presenza. Per “lottare contro la lunga vita dei morti” perché noi “non sfuggiamo mai ai morti”.
Viene alla mente il racconto di Joyce, I morti, per alcuni il più bello di tutto il novecento. I “nostri” morti non muoiono mai, dentro di noi, come cerca di dire perdendosi per strada anche Ugo Cornia in Buchi (Feltrinelli 2016). L’altra figlia parla anche d’infanzia e ha in apertura una frase di Flannery O’Connor: “Credere è la maledizione dei bambini”. Ma credere è anche la tormentata speranza di O’Connor, come si evince dal suo giovanile Diario di preghiera, appena tradotto da Bompiani.
Questa rubrica è stata pubblicata il 17 giugno 2016 a pagina82 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati
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