Gentile bibliopatologo,
io non leggo libri. Le sembrerà strano, quindi, che mi rivolga a lei, ma è da quando sono piccolo che mi sento dire che leggere libri aiuta a vivere meglio. A me sembra di vivere bene lo stesso e di fare esperienze che mi arricchiscono, per usare questo verbo che tanto piace a chi legge un sacco di libri. E poi, a dirla tutta, non mi pare che i miei amici lettori se la passino meglio di me. Vorrei saperlo da un esperto, una volta per tutte: cominciare a leggere mi renderà migliore di quello che sono?
– Illetterato

Caro Illetterato,
non sei tu il malato, casomai lo sono i tuoi amici. O meglio, più che malati, perversi. Sono affetti da quel disturbo che i manuali diagnostici dei bibliopatologi chiamano “feticismo del parallelepipedo di carta”, estrema metamorfosi politeistica delle antiche religioni del Libro. Credono cioè, per ragioni misteriose e in fin dei conti superstiziose, che l’oggetto-libro – amuleto o talismano – abbia in sé poteri benefici; e che le parole, dall’essere racchiuse in quel formato, guadagnino un prestigio speciale. È una perversione molto diffusa negli appartenenti al cosiddetto ceto medio riflessivo, quelli per cui “De André è un cantautore così bravo che è quasi un poeta” (variante colta di “Se mia zia avesse le ruote sarebbe una carrozza”) e quelli del “Non guardare la tv, leggi un libro”, anche se in tv danno Breaking bad e il libro è un romanzo di Andrea Scanzi.

Hai visto la bella illustrazione che Gipi ha creato per il Salone del libro di Torino? Si vede una muraglia sormontata dal filo spinato, ma a scavalcarla c’è un enorme libro aperto – una metà al di qua, l’altra al di là del confine – che consente a una ragazza di guardare l’orizzonte sgombro. L’immagine si adatta a meraviglia al tema scelto per il salone – “Oltre il confine” – ma io ti invito comunque a fare un piccolo esercizio. Tieni gli occhi sull’illustrazione e prova a visualizzare sulla copertina del libro, in rapida sequenza, i seguenti titoli:

  • Sintesi di dottrina della razza di Julius Evola
  • Libretto Rosso di Mao Tse-Tung
  • Dianetics di L. Ron Hubbard
  • Gianroberto Casaleggio: il suo pensiero in aforismi
  • Il labirinto femminile di Alfonso Luigi Marra

Com’è andata? Ti senti ancora oltre il confine? Un libro, di per sé, non ha questo potere liberatorio, e anzi ti raccomando un paio di libri importanti – La galassia Gutenberg di Marshall McLuhan, Comunità immaginate di Benedict Anderson – che spiegano come l’invenzione della stampa, prima di scavalcare poeticamente i muri, generò il nazionalismo moderno. Sono state le tecnologie elettroniche, semmai, a rendere permeabili a piacimento le muraglie, e a instillare la voglia di erigerne di più imponenti in tutti quelli che senza pareti intorno si sentono minacciati o smarriti. Ma sto divagando.

L’idea che sia meglio non leggere accomuna chi ha letto troppi libri e chi non ne ha letto nessuno. C’è una buffa rispondenza tra il detto “beata ignoranza” che sentiamo spesso in giro, solitamente seguito da un sospiro, e il motto nihil scire foelicissima vita che il mago rinascimentale Agrippa di Nettesheim pose in epigrafe a un’opera eruditissima in cui proclamava l’inutilità di tutte le scienze e le arti. Gli inglesi dicono ignorance is bliss, ma la fonte è il ben poco ignorante Thomas Gray, poeta settecentesco. Nella lunga strada tra il nulla e il troppo, restiamo di solito arenati in qualche punto intermedio molto vicino al nulla.

Meglio rinunciare al viaggio, allora? Tutt’altro. Ma dovremmo liberarci di quella retorica dell’arricchirsi che accomuna lettori bulimici e turisti seriali, visitatori di luoghi perfettamente indistinguibili dai dépliant che li presentano; quel turismo che consiste appunto nel non fare esperienza, e nel rivivere in loco il fantasma di un viaggio già consumato. Ma anche restando alle metafore economiche, il problema dell’arricchimento è che sottintende un unico tipo di esperienza: il lettore è come un conto corrente sul quale ogni libro assicura un nuovo bonifico. E invece la lettura, così com’è in grado di abbattere i muri o di erigerli, può arricchire o impoverire. Magari fai un investimento sbagliato, e un libro si rivela una perdita di tempo e soldi; oppure, a furia di cattive letture, ti abitui a riscuotere risarcimenti cartacei di miserie molto reali (tutti quei romanzi arricchivano Madame Bovary?). Per tacere dei libri che portano alle varie forme di bancarotta – la perdizione, il suicidio romantico, l’omicidio nichilista e, più grave di tutte, la stupidità.

L’Indice dei libri proibiti grazie al cielo è fuori moda, e mi guardo bene dal riproporlo. Ma se Platone voleva buttar fuori i poeti dalla sua Repubblica ideale è perché riconosceva loro il potere di condurre gli animi alla rovina. La lettura è un’operazione magica che può rivelarsi salutare o venefica, proprio come l’ascolto della musica. Ma da tempo abbiamo rinunciato a controllare gli incantesimi a cui siamo sottoposti, e la musica ci insegue perfino nei ristoranti, nelle sale d’aspetto o negli ascensori. Allo stesso modo, quando tutti i libri arricchiscono, tutti i libri diventano ugualmente irrilevanti. I feticisti del parallelepipedo non sbagliano, ma dovrebbero spingere alle conseguenze estreme la loro mentalità primitiva, riconoscendo che nel feticcio può annidarsi la salvezza o il maleficio. Se sapessimo già cosa ci aspetta, che leggeremmo a fare?

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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