Quando ci si trova di fronte a un problema davvero spaventoso, spesso è meglio immaginare l’esito peggiore possibile e capire quanto può essere brutto. A volte può essere abbastanza brutto, ma difficilmente sarà peggio delle paure indistinte che si materializzano quando non si analizza davvero il problema. Come il gruppo dello Stato islamico, per esempio.

Tutto è cominciato con la conquista di vaste aree della Siria orientale realizzata da un gruppo chiamato Stato islamico in Iraq e Siria (Isis) nel periodo 2011-2013. I suoi fondatori erano quasi tutti iracheni che avevano combattuto contro l’occupazione statunitense del loro paese. Si diceva che fossero in Siria per rovesciare la dittatura di Bashar al Assad, ma in realtà erano molto più impegnati a conquistare i territori controllati da altri gruppi di ribelli.

Dopo aver conquistato una base territoriale nell’est della Siria, i combattenti dell’Isis si sono spinti oltre il confine con l’Iraq, e nel giugno del 2014 hanno occupato Mosul, la terza città irachena. Prima il fragile esercito iracheno e poi le milizie curde, considerate più capaci, sono crollati di fronte alla loro avanzata. A luglio l’Isis ha dichiarato l’abolizione del confine di stato, proclamando la fondazione di uno “Stato islamico” nelle aree strappate alla Siria e all’Iraq.

Pochi giorni dopo il leader del gruppo, Abu Baqr al Baghdadi, durante un sermone tenuto nella grande moschea Al Nuri di Mosul, ha annunciato di essere il califfo a cui tutti i musulmani devono obbedienza. È stata una mossa sfacciata, considerando che non ci sono stati califfi dal 1924, ma ha avuto una grande risonanza tra i molti musulmani che attribuivano il crollo del potere e della ricchezza del mondo islamico all’abbandono dei suoi valori e delle sue istituzioni religiose tradizionali.

Da allora i miliziani dello Stato islamico non hanno conquistato altri territori. La sua unica grande offensiva, contro l’enclave curda di Kobane, al confine tra Siria e Turchia, si è conclusa con un fallimento e con la morte di migliaia di jihadisti. Aerei degli Stati Uniti, di altri paesi occidentali e di vari paesi arabi conservatori pattugliano i cieli sopra il territorio controllato dallo Stato islamico, bombardando qualsiasi cosa che sembri un obiettivo militare. Eppure il gruppo di jihadisti continua a spaventare a morte un sacco di persone.

Uno dei motivi è la sua crudeltà senza limiti. Crocifigge, decapita e brucia vive le sue vittime, e poi diffonde filmati in cui si vanta di tutto questo. Molte delle sue reclute sono musulmani sunniti che vengono dai territori che ha occupato, ma ci sono anche migliaia di entusiasti volontari provenienti da altri paesi musulmani e dalla diaspora musulmana in occidente.

Lo Stato islamico sta attualmente ricevendo giuramenti di fedeltà da gruppi di estremisti islamici armati che la pensano allo stesso modo in altri paesi musulmani, ciascuno dei quali fornisce un po’ di credibilità in più alla sua rivendicazione di essere il nuovo califfato. A novembre gruppi di estremisti islamici in Egitto, Libia, Algeria, Yemen e Arabia Saudita hanno riconosciuto Al Baghdadi, che ora si fa chiamare califfo Ibrahim, come loro leader e guida.

Non si sa molto dei gruppi affiliati allo Stato islamico in Yemen, Arabia Saudita e Algeria, ma quello egiziano, Ansar Bait al Maqdis, controlla parti della penisola del Sinai, attacca regolarmente l’esercito egiziano e a novembre si è proclamato ufficialmente “provincia” (wilaya) dello Stato islamico. La Libia, dove i gruppi jihadisti hanno guadagnato terreno durante la guerra civile, è stata suddivisa in tre ulteriori “province”.

A fine gennaio anche un ex comandante dei taliban pachistani e dieci altri leader jihadisti in Pakistan e Afghanistan hanno riconosciuto l’autorità di Al Baghdadi, dichiarando di aver costituito una nuova provincia controllata dallo Stato islamico in Khorasan, che include i due paesi e “altre terre vicine”.

Infine, il 7 marzo anche Abubakar Shekau, il leader del gruppo Boko haram che controlla gran parte della Nigeria nordorientale, ha giurato fedeltà agli estremisti dello Stato islamico: “Annunciamo la nostra lealtà al califfo. Lo ascolteremo e gli ubbidiremo nella buona e nella cattiva sorte. Invitiamo i musulmani di tutto il mondo a giurare fedeltà al califfo”. Insomma, il gruppo Stato islamico sta certamente facendo progressi, ma dove può arrivare?

Probabilmente non molto lontano. Tutte le nuove “province” sotto il suo controllo, come gran parte di quelle originarie, sono in aree perlopiù rurali, spesso scarsamente popolate e con poche risorse naturali (se si esclude un po’ di petrolio, nel caso della Libia). Si tratta di territori che governi corrotti e autoritari, molti dei quali alle prese con delle guerre civili, possono semplicemente abbandonare nel breve termine perché non li considerano vitali per loro sopravvivenza.

Per il gruppo dello Stato islamico la conquista di grandi aree metropolitane e delle loro risorse richiederebbe un livello di sostegno popolare che difficilmente troverà. Le grandi città sono piene di persone relativamente sofisticate che avrebbero qualcosa da perdere e difficilmente giudicherebbero gli uomini di Al Baghdadi come una soluzione ai loro problemi.

Senza le grandi città e le loro infrastrutture di comunicazione, in particolare porti e aeroporti, l’efficacia della collaborazione tra le “province” controllate dallo Stato islamico, disperse su un territorio così vasto, non può essere che minima. I jihadisti dovranno continuare a combattere le loro guerre con poco aiuto esterno, e finiranno per perderne alcune.

La lotta contro l’estremismo islamico continuerà probabilmente per almeno un decennio, imponendo pesanti costi alle popolazioni mediorientali. Ma probabilmente ci vorrà molto meno tempo perché organizzazioni ultraradicali come lo Stato islamico e Boko haram finiscano per spaccarsi su questioni di teologia.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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