Esistono generali buoni in Birmania, ovvero generali non corrotti, non troppo violenti e non determinati a tutti costi a mantenere per sempre il controllo del paese. Uno di questi è Thura Shwe Mann.
Shwe Mann ha lasciato l’esercito nel 2010 per guidare il nuovo Partito unitario della solidarietà e dello sviluppo (Usdp), un paravento civile per i militari che in realtà controllano ancora il paese. Dal momento che le elezioni sono state boicottate dall’opposizione democratica guidata da Aung San Suu Kyi, l’Usdp ha ottenuto la maggioranza e Shwe Mann è diventato presidente del parlamento.
Niente, nella storia di quest’uomo, suggeriva che sarebbe mai passato dall’altra parte: dopo aver combattuto tre campagne consecutive contro varie minoranze etniche, con il consueto corredo di violazioni dei diritti umani, al momento del suo ritiro era il numero tre della gerarchia militare. Ma per Suu Kyi oggi Shwe Mann rappresenta la principale speranza di una transizione pacifica verso un governo davvero democratico dopo le elezioni che si terranno l’8 novembre.
È quello che vuole anche Aung San Suu Kyi: cambiare tutto
Mentre il voto si avvicinava è successo qualcosa a Shwe Mann. Forse si è semplicemente reso conto che se giocava bene le sue carte sarebbe potuto diventare presidente. Fatto sta che ultimamente si esprime in maniera inconsueta: “Oggi siamo in democrazia, una forma di governo diversa che richiede una dedizione totale. Il nostro popolo vive al di sotto della soglia di povertà. Dobbiamo cambiare tutto”.
È quello che vuole anche Aung San Suu Kyi: cambiare tutto. Vuole che l’esercito non controlli più il 25 per cento dei seggi in parlamento. Vuole escluderlo dall’economia (oggi i militari controllano, direttamente o indirettamente, metà dell’economia birmana). E soprattutto vuole candidarsi alla presidenza (la costituzione scritta dall’esercito glielo impedisce).
È davvero possibile che Suu Kyi e il generale collaborino? Deve averlo pensato l’attuale presidente, l’ex generale Thein Sein, dopo che Shwe Mann aveva parlato apertamente di una possibile coalizione tra l’Usdp e la Lega nazionale per la democrazia (Lnd) di Aung San Suu Kyi. Così a settembre i soldati hanno assediato e circondato il quartier generale dell’Usdp, e quando se ne sono andati Shwe Mann non era più il capo del partito.
La democrazia di facciata
Suu Kyi probabilmente avrà ancora bisogno di Shwe Mann, perché queste elezioni non si svolgeranno come le ultime libere, quelle del 1990, quando l’Lnd aveva trionfato. I militari avevano naturalmente ignorato i risultati e Aung San Suu Kyi ha trascorso buona parte del successivo quarto di secolo in carcere o agli arresti domiciliari, per cui non esiste una formula che garantisca il successo politico in Birmania.
Oggi è chiaro che i militari non vogliono ripetere quell’esperienza. La democrazia di facciata ha permesso di ottenere la fine delle sanzioni internazionali, gli investimenti stranieri scorrono a fiumi e i generali si stanno arricchendo. Sarebbe molto meglio sabotare la democrazia senza distruggere la facciata.
Anche se probabilmente l’Lnd otterrà una grossa vittoria l’8 novembre, difficilmente potrà formare un governo. Non è riuscita ad avere il sostegno delle minoranze, che la considerano un partito dell’etnia birmana con le sue solite mire centralizzatrici. E in ogni caso un quarto dei parlamentari sarà nominato dal comando supremo dell’esercito.
Anche se screditato dalle sue origini militari, l’Usdp raggiungerà un buon risultato grazie alla vergognosa campagna antislamica condotta dai monaci buddisti ultranazionalisti che presentano l’Lnd di Suu Kyi come un partito filomusulmano. Suu Kyi dovrebbe difendere la discriminata minoranza musulmana (appena il 4 per cento della popolazione), ma non osa farlo pubblicamente poiché questo le farebbe perdere ulteriori voti.
Aung Suu Kyi non può comunque candidarsi alla presidenza dato che la costituzione impone che il presidente non abbia parenti stranieri
Ecco come andranno le cose. L’Lnd otterrà più della metà dei seggi, ma non arriverà al 67 per cento, la soglia necessaria per eleggere un presidente superando l’opposizione del blocco militare in parlamento. Suu Kyi non può comunque candidarsi alla presidenza dato che la costituzione, scritta appositamente per escluderla, impone che il presidente non abbia parenti stranieri. Il marito di Suu Kyi era inglese e i suoi due figli hanno il passaporto britannico.
Ma se Suu Kyi e Shwe Mann formeranno una coalizione (anche se non è più leader dell’Usdp, il militare sarà probabilmente in grado di portare con sé un’ampia fetta del partito), potranno eleggere un nuovo presidente e formare un governo.
Il presidente dovrebbe essere lo stesso Shwe Mann (per motivi costituzionali), ma Suu Kyu potrebbe essere il vero capo del governo, del quale farebbero quindi parte molti esponenti dell’Lnd.
Non sarà un’unione ideale, ma sarebbe comunque molto meglio di un golpe compiuto da un esercito in preda al panico. La Birmania non sarebbe comunque diventata di punto in bianco un vera democrazia, ma un simile risultato la indirizzerebbe sulla buona strada senza mettere in agitazione i militari.
La Birmania è stata governata da ufficiali brutali, ignoranti e incompetenti per più di mezzo secolo, e quello che un tempo era il paese più ricco del sudest asiatico è oggi il più povero. È ora di cambiare e di prendere quello che è possibile avere adesso. Per il resto ci sarà tempo dopo.
(Traduzione di Federico Ferrone)
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