La tattica del salame può essere utile quando si affrontano problemi troppo grandi per poter essere risolti in un’unica volta. Funziona così: si raccolgono tutte le risorse disponibili e si affronta un aspetto del problema. Si ripassa più tardi, quando le risorse sono maggiori, e si taglia un’altra fetta. Si ripete l’operazione finché il problema scompare.
La tattica del salame è alla base del decisivo vertice sul clima che si aprirà a Parigi il 30 novembre. Nei prossimi giorni 150 paesi, responsabili del 90 per cento dei gas serra immessi nell’atmosfera, assumeranno degli impegni vincolanti per ridurre le loro emissioni. È meglio di quanto accaduto l’ultima volta, al disastroso vertice di Copenaghen del 2009, quando solo i paesi sviluppati furono disposti a fare qualche promessa.
Anche la Cina, oggi il principale inquinatore mondiale, rifiutò di accettare qualsiasi limite alle sue emissioni, sostenendo che il piccolo gruppo di paesi di prima industrializzazione (in pratica l’occidente più il Giappone) fosse storicamente responsabile dell’80 per cento dei gas serra presenti nell’atmosfera. Il vertice di Copenaghen è finito nel caos, senza nessuna conclusione sostanziale, e abbiamo dovuto aspettare altri sei anni prima di affrontare di nuovo la questione.
La conferenza dovrà anche trovare dei modi per monitorare le riduzioni di emissioni promesse da tutti
Oggi sia la Cina sia gli Stati Uniti, i due paesi che più avevano opposto resistenza l’ultima volta, stanno concretamente promettendo di controllare le loro emissioni. È un fatto fondamentale, perché insieme sono responsabili del 40 per cento delle emissioni globali.
La conferenza dovrà anche trovare dei modi accettabili per monitorare le riduzioni di emissioni che tutti stanno promettendo di fare, oltre che di punire i ritardatari e gli imbroglioni. Ma proviamo a essere ottimisti e facciamo conto che il vertice riesca addirittura a trovare un accordo su un meccanismo che trasferisca cento miliardi di dollari all’anno dai paesi ricchi a quelli poveri per aiutare questi ultimi a ridurre le proprie emissioni.
Tutto questo non ci salverebbe comunque da un riscaldamento incontrollabile e da tutte le calamità che ne deriverebbero.
Alla fine del mese scorso le Nazioni Unite hanno analizzato i 146 piani nazionali per la riduzione delle emissioni (compresi quelli di tutti i grandi paesi) che erano già stati presentati. E purtroppo i conti non tornano.
Un aumento catastrofico
Se tutte le promesse fossero mantenute, le emissioni globali rallenterebbero, ma nel 2100 la temperatura media del pianeta sarebbe comunque 2,7 gradi più alta rispetto alla fine del diciannovesimo secolo. Eppure tutti i governi che saranno presenti a Parigi riconoscono che la temperatura media globale non dovrà assolutamente superare i due gradi di aumento medio.
Che cosa gli passa per la mente, allora? Contrariamente ai mezzi d’informazione e a buona parte dei cittadini, i governi sanno bene che anche un aumento di due gradi sarebbe catastrofico. Se la temperatura rimanesse a quei livelli a lungo, tutti i ghiacciai del mondo finirebbero per sciogliersi e il livello del mare si alzerebbe di settanta metri.
Anche prendendo in considerazione tempi molto più brevi, un aumento di due gradi comporta gigantesche tempeste, una diffusa desertificazione, la scomparsa delle barriere coralline e la distruzione delle riserve ittiche a causa dell’inacidimento degli oceani. La produzione alimentare globale crollerebbe, provocando giganteschi e inarrestabili flussi di rifugiati, dal momento che la fame e le guerre devasterebbero i paesi più vulnerabili.
I governi sanno anche che, superando la soglia dei due gradi o forse anche solo avvicinandosi, entrerebbero in gioco altri fattori: l’oceano Artico, senza ghiaccio, assorbirebbe il calore del Sole invece di rifletterlo, lo scioglimento del permafrost rilascerebbe enormi quantità di gas serra nell’atmosfera e ancora maggiori sarebbero quelle rilasciate in seguito al riscaldamento degli oceani.
Come la freccia di Zenone, arriviamo sempre più vicini all’obiettivo senza però mai raggiungerlo
A quel punto il riscaldamento raggiungerebbe livelli non più controllabili dagli esseri umani. Una volta attivati, questi fattori sono inarrestabili. Anche se alla fine gli esseri umani riuscissero a riportare a zero le loro emissioni, a lungo termine questo meccanismo porterebbe comunque a un aumento di quattro, cinque, forse addirittura sei gradi.
I governi sono al corrente di tutto ciò, ma hanno comunque presentato delle proposte di tagli alle emissioni che produrrebbero un aumento della temperatura media globale di 2,7 gradi. Davvero, che cosa stanno pensando?
Pensano che stanno facendo quello che possono fare senza suicidarsi politicamente. Qualsiasi governo deve combattere con enormi interessi interni, che sarebbero danneggiati dall’abbandono dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili. Se i governi si spingono troppo oltre in tempi troppo brevi, corrono il rischio di essere spazzati via dai contraccolpi.
D’accordo quindi: stanno facendo tutto quel che possono politicamente, ma che ne sarà del futuro della razza umana? Il fatto è che i tagli alle emissioni, per quanto inadeguati, faranno sì che la soglia dei due gradi sarà raggiunta un po’ più tardi. E di nascosto i governi pensano che potremo usare questo tempo supplementare per riunirsi di nuovo tra qualche anno, nel corso di un altro vertice, per decidere tagli più cospicui alle emissioni.
Questi ulteriori tagli faranno guadagnare altro tempo prima di arrivare a un aumento di due gradi, che potrà essere usato per un ulteriore giro di tagli. Come la freccia di Zenone, arriviamo sempre più vicini all’obiettivo senza però mai raggiungerlo. Il riscaldamento medio arriverà sicuramente a 1,8 gradi o giù di lì, ma in teoria non toccherà mai i due gradi. È la tattica del salame. Ma c’è anche un po’ di roulette russa.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it