Immaginiamo di essere nel luglio del 2017. Donald Trump, che esattamente un anno fa è stato nominato candidato del Partito repubblicano alle elezioni presidenziali statunitensi, ha vinto con uno stretto margine (i sondaggi dicono che un esito del genere è possibile). Trump si è insediato da sei mesi e ha cominciato a mantenere le promesse fatte in campagna elettorale.
Il Partito repubblicano ha conservato il controllo di entrambe le camere del congresso. Se così non fosse stato, Trump avrebbe molte difficoltà a mettere in atto i suoi piani. Le tre promesse che hanno fatto più discutere sono anche quelle che hanno fatto più presa sugli elettori, quindi il nuovo presidente ha deciso di metterle in atto rapidamente: un dazio del 40 per cento su tutte le importazioni, la cancellazione dei trattati sul libero mercato e una stretta sull’immigrazione, a partire dal famoso muro al confine con il Messico.
Naturalmente non sarà costruito un muro vero e proprio. Si tratterà piuttosto di quel genere di barriera ad alta tecnologia che i paesi costruiscono quando vogliono chiudere una frontiera. Un fossato largo tre metri correrà lungo i tremila chilometri del confine messicano, con una recinzione di filo spinato alta tre metri sul lato rivolto verso il Messico del fossato e un’altra simile su quello statunitense.
La recinzione sul versante messicano sarà elettrificata, quella sul fronte statunitense sarà dotata di telecamere a infrarossi e sensori di movimento per registrare i tentativi di oltrepassare il fossato, con mitragliatrici telecomandate pronte a sparare. Nel fossato ci saranno anche delle mine. Perché costruire un’apparato così letale? Perché l’esperienza ci insegna che l’unico modo di chiudere un confine è uccidere le persone che tentano di attraversarlo.
Al momento (ricordiamoci che siamo nel luglio del 2017) il muro non è ancora finito. Ci vorranno ancora diversi anni per completarlo, e il costo finale sarà compreso tra i 30 e i 50 miliardi di dollari. Ma ci sono già stati dei morti tra le decine di migliaia di messicani che protestano davanti ai cantieri, e un numero minore di vittime tra gli statunitensi di origine messicana che manifestano dall’altro lato della recinzione.
L’effetto della guerra commerciale contro il resto del mondo non si fa ancora sentire, ma è solo questione di tempo
Il governo messicano, alle prese con il disastro economico causato dal crollo delle esportazioni verso gli Stati Uniti, ha interrotto le relazioni diplomatiche con Washington, seguito da diversi paesi dell’America Latina. Gli esperti del dipartimento di stato temono che in Messico si insedi un regime nazionalista radicale, ma gli esperti non sono più i benvenuti alla Casa Bianca.
I negoziati per il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip) tra gli Stati Uniti e l’Unione europea sono stati interrotti, mentre il Partenariato transpacifico (Tpp) non sarà mai ratificato dal congresso. La tassa sulle importazioni è ancora ferma al congresso, così come la proposta di ritirarsi dall’Accordo nordamericano per il libero scambio (Nafta) che sta scatenando il panico in Canada, le cui esportazioni sono assorbite per tre quarti dagli Stati Uniti.
Entrambe le proposte saranno approvate, e la loro vittima principale sarà il commercio tra Stati Uniti e Cina (cosa di cui Trump è perfettamente consapevole e contento). La Cina è già in recessione anche se cerca di tenerlo nascosto, e l’impatto delle nuove misure statunitensi aprirà una crisi politica che minaccerà la sopravvivenza del regime comunista.
Pechino potrebbe rispondere andando avanti con la proposta del Partenariato economico comprensivo regionale (Rcep), che riguarderebbe sedici paesi della regione Asia-Pacifico ma escluderebbe gli Stati Uniti. Un’altra possibile conseguenza potrebbe essere uno scontro militare con gli statunitensi per distogliere l’attenzione dalle difficoltà interne. Il pretesto potrebbe essere la disputa sul Mar cinese meridionale.
Fine delle alleanze
Il Giappone, che sta portando avanti un massiccio programma di riarmo dopo che il primo ministro Shinzo Abe ha rimosso l’articolo 9 dalla costituzione nel marzo del 2017, sarà al fianco di Washington nello scontro, ma gli alleati europei potrebbero decidere di tirarsi indietro. L’apertura di Trump verso Vladimir Putin non è piaciuta all’Unione, preoccupata dalle intenzioni di Mosca, e la sua richiesta ai paesi della Nato di pagare una quota più alta delle spese dell’alleanza non ha aiutato.
L’Unione europea, ancora sconvolta dal referendum sull’uscita del Regno Unito del 2016, è stata ulteriormente scossa dal ballottaggio delle presidenziali francesi di maggio, quando il Front national di Marine Le Pen ha sfiorato la vittoria. Lo spettro di un collasso dell’Unione è sempre più vicino, e l’Europa non ha tempo per occuparsi delle zuffe asiatiche degli statunitensi.
Negli Stati Uniti l’economia regge, nonostante il crollo della borsa del novembre 2016. L’aumento del bilancio militare voluto da Trump, la crescita degli investimenti nelle infrastrutture (ricorrendo a denaro preso in prestito) e l’innalzamento del salario minimo hanno tenuto in funzione la macchina, almeno per il momento. L’effetto della guerra commerciale contro il resto del mondo non si fa ancora sentire, ma è solo questione di tempo.
E siamo ancora a luglio 2017. Trump ha ancora tre anni e mezzo di mandato.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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