“Con noi le cose cambiano. Noi siamo diversi dal passato. La ministra Federica Guidi non ha fatto nessun illecito, ha fatto solo una telefonata inopportuna ma si è dimessa, a differenza della ministra Cancellieri sotto il governo Monti: segno che in Italia qualcosa è cambiato”. Matteo Renzi dixit, dagli Stati Uniti dove oggi si è occupato di Libia ma fino a ieri sproloquiava, guarda un po’, di politica energetica. Altro che abilità comunicativa: sono parole che lasciano allibiti.

Una telefonata inopportuna: starebbe qui il nocciolo delle dimissioni della ministra dello sviluppo economico? E se sta qui, perché allora accettarle in fretta e furia, prima dei tg delle 20 di giovedì perché tanto quello che conta è sempre e solo l’audience? Informare il proprio compagno – imprenditore, titolare della società di manutenzione di impianti petroliferi Its, coinvolto nel progetto Tempa Rossa per conto della Total – che grazie a uno dei soliti blitz parlamentari del governo l’affare che gli garantirà carriera e subappalti sta per realizzarsi significa solo fare una telefonata inopportuna? O significa fare a lui e alla sua lobby di riferimento – l’Eni guarda caso, la stessa che sta dettando la politica italiana nei confronti dell’Egitto di Al Sisi – un gran favore, abusando del proprio ruolo di potere? Non c’è “nessun illecito” in quella telefonata e in quell’abuso? Nell’esercizio del potere è tutto lecito se non è penalmente sanzionato, anche quello che va eclatantemente sotto le rubriche del familismo, del clientelismo e del conflitto d’interessi? Spiace per Matteo Renzi ma da questo punto di vista in Italia non è cambiato proprio niente: la politica non riesce a darsi né un limite né un’etica, se non quando incappa, e meno male che ci incappa, nelle indagini della magistratura.
Qualcosa è cambiato, invece, grazie alla tinteggiatura rosa del governo. Le ministre sono schiave delle lobby quanto i ministri, pari e patta, però leggere di un signore che scodinzola con i suoi capi esibendo le news che gli arrivano da una fidanzata più potente di lui è una bella soddisfazione. I pm lo chiamano “traffico di influenze illecite”, perché la legge Severino punisce con un paio d’anni di galera chi ricava o promette denaro e altri vantaggi sfruttando le proprie relazioni con un pubblico ufficiale o un incaricato di servizio pubblico, ma ammettiamolo: meglio così di quando le mazzette e i subappalti erano solo gli uomini di casa a procurarli. Ringraziamo la ministra Guidi per questo significativo riscatto del secondo sesso.

E passiamo alla sostanza politica che c’è sotto quella “telefonata inopportuna”, e su cui non è possibile glissare. Renzi infatti non glissa, anzi rivendica: quell’emendamento che sbloccava l’affare Tempa Rossa “era sacrosanto”. Portava sviluppo e posti di lavoro. Sono gli stessi argomenti che il premier sbandiera a sostegno delle trivelle, e qui di nuovo qualcosa in Italia è cambiato, ma in peggio, perché da decenni non si sentiva, nel campo che si vorrebbe di centrosinistra, una scotomizzazione così netta delle ragioni dell’impresa e dell’occupazione da una parte e dell’ambiente dall’altra. Renzi rinfaccia un giorno sì e l’altro pure a Bersani di non aver vinto le elezioni, ma farebbe bene a ricordarsi che lui e il Partito democratico stanno comunque governando sulla base della mezza vittoria del centrosinistra del 2013, e che quella mezza vittoria fu ottenuta sulla base di un programma che in materia di politica dell’energia e dell’ambiente diceva il contrario esatto di quello che lui sta facendo oggi.

Infine ma non ultimo. L’emendamento salva-Eni, salva-Total e salva-fidanzato della ministra era stato bocciato il 17 ottobre 2014 nel dibattito parlamentare sul decreto sblocca-Italia, per essere riproposto il 17 dicembre, Maria Elena Boschi consenziente, all’interno di un maxi-emendamento del governo alla legge di stabilità. Un percorso che è un mirabile concentrato dell’arte di governo di Renzi e dei suoi, Boschi in primis, un’arte fatta di voti di fiducia, maxi decreti, maxi emendamenti e canguri, che ha ridotto il parlamento a nulla più che un ufficio notarile dei voleri del Capo. Ed è solo l’antipasto del menù che ci aspetta qualora la riforma costituzionale Boschi-Renzi diventasse realtà. Non si tratta di aprire gli occhi solo sul referendum anti-trivelle. Si tratta di spalancarli anche sul referendum costituzionale. Se questo fosse l’effetto, perfino le dimissioni di una ministra incapace di distinguere l’interesse pubblico da quello del suo compagno non sarebbero state vane.

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