Il 26 giugno in Spagna si terranno nuove elezioni, dopo quattro mesi di trattative sterili tra i quattro principali partiti, che non sono stati capaci di giungere a un accordo. È una notizia praticamente ufficiale da questa settimana, dopo il fallimento dell’ultimo giro di consultazioni del re. Secondo le regole, per votare bisogna aspettare ancora due mesi, che saranno segnati da una campagna elettorale che ha già annoiato cittadini, politici e mezzi di informazione ancor prima di essere cominciata.

La Spagna, quindi, resterà quasi un anno ferma e senza governo, perché il parlamento si è sciolto nell’ottobre 2015 e il nuovo non si formerà fino alla fine di luglio, in periodo di vacanze, per tornare a settembre con l’energia per ricominciare, forse dallo stesso punto in cui siamo oggi.

Fallimento collettivo

Perché la cosa peggiore è che i risultati potrebbero somigliare a quelli dello scorso 20 dicembre. Davanti a una delle principali sfide della democrazia spagnola dal 1978 – l’entrata in scena di due nuovi partiti – i politici non si sono mostrati all’altezza, anzi hanno perso tempo, impegnati in manovre tattiche e interessi personali. L’unica vera campagna in corso è quella di incolpare gli altri di questo fallimento collettivo. La verità è che nessuno ha pensato né al paese né all’interesse generale.

Mariano Rajoy, premier uscente del conservatore Partito popolare (Pp), vincitore delle elezioni, ma con una grande perdita di voti (3,6 milioni), ha ostacolato l’accordo che aveva più possibilità di riuscire, un’alleanza con il nuovo partito di centro Ciudadanos. Questa forza di rinnovamento chiedeva di allontanare Rajoy, simbolo di una legislatura segnata da duri tagli economici e dalla disoccupazione, ma soprattutto di una gravissima ondata di corruzione nel Pp. Rajoy si è rifiutato di farsi da parte, vuole continuare a essere primo ministro. E non è detto che non ci riesca.

Sánchez ha alimentato l’illusione di un patto matematicamente e politicamente impossibile con Ciudadanos e Podemos

Pedro Sánchez, leader del Psoe e fino a poco tempo fa un completo sconosciuto, ha ottenuto il risultato peggiore in più di un secolo di storia del suo partito. Ma si è rivelato abile e ambizioso nell’eclissare questo fatto, che in qualsiasi altro momento avrebbe significato le dimissioni immediate, con il protagonismo di questi mesi così inutili.

Rajoy ha deciso di non fare niente e aspettare, e la palla è passata a Sánchez. In questo periodo, più per salvare se stesso e pensando alle prossime elezioni, ha alimentato l’illusione di un patto matematicamente e politicamente impossibile con Ciudadanos e Podemos, la nuova formazione di sinistra di Pablo Iglesias. Il Partito socialista aveva messo il veto su qualsiasi accordo con Podemos. Le urne diranno se Sánchez ne ricaverà qualcosa, anche se è previsto un aumento dell’astensionismo, che punisce sempre il Psoe, e c’è l’eventualità che Podemos superi i socialisti come seconda forza. Insomma, uno smacco ancora più grave di quello già subìto. I socialisti spagnoli hanno paura di fare la stessa fine del Pasok in Grecia, eclissato da Syriza.

Un’opportunità storica persa

Podemos può ottenere il “sorpasso” sul Psoe (in Spagna usano proprio la parola italiana) grazie a una nuova alleanza con Izquierda Unida (Iu), il partito tradizionale di sinistra, sempre minoritario e punito dalla legge elettorale. Quasi un milione di voti gli hanno fruttato solo due seggi. Ma con Podemos, che ha ottenuto più di cinque milioni di voti, i conti sarebbero diversi. I rapporti tra le due forze, nel classico ambiente fratricida della sinistra, non sono idilliaci, ma Psoe e Iu hanno deciso di essere pratici davanti a un’opportunità storica.

In questi mesi però anche Pablo Iglesias si è dimostrato un negoziatore poco affidabile, pur essendo di gran lunga il più scaltro e il più interessato ad arrivare a nuove elezioni senza darlo a vedere. Offriva al Psoe un’alleanza di sinistra impossibile, con undici sigle diverse, ma la sua offerta gli è servita per dipingere i socialisti come un partito che sta andando verso destra.

In questa impasse, il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, ha guadagnato punti come il politico più disposto al dialogo, un atteggiamento che gli ha consentito di riprendendosi dai risultati al di sotto delle aspettative. Sembra destinato a essere l’alleato del Pp nel prossimo governo, la combinazione che continua ad avere più possibilità. I cittadini adesso dovranno fare il lavoro che non sono stati capaci di fare i loro politici.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

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