Il film più originale, fresco e profondo passato finora a Cannes è una commedia tedesca di quasi tre ore. Si intitola Toni Erdmann. Parla del rapporto fra un padre senza grandi ambizioni e sua figlia, una donna in carriera che lavora a Bucarest come consulente per una società petrolifera statunitense.

La pellicola di Maren Ade, giovane regista di Karlsruhe, come minimo dovrà far vincere un premio per la miglior attrice alla strabiliante Sandra Hüller. Il film contiene alcune scene di comicità pura, che hanno scatenato molte risate durante la proiezione stampa. Una cosa insolita in un festival di solito associato a toni e temi seri, come quelli del film di Ken Loach, I, Daniel Blake, che critica in modo nitido ma un po’ convenzionale le politiche sociali del governo britannico di David Cameron.

Toni Erdmann è anche un film commovente, che parla di quello che succede agli affetti, alla compassione, all’umanità, in un mondo nel quale il lavoro consuma tutto. Ines, il personaggio di Hüller, non riesce a staccare mai. Sta sempre al telefono, anche quando torna a casa in Germania, dove deve andare per una doverosa ricongiunzione familiare. È una manager di successo ma questo non le impedisce di essere terrorizzata dall’abisso che potrebbe aprirsi se sbagliasse un contratto, o se si rifiutasse di tenersi libera un’intera mattina per portare la moglie di un cliente grosso a fare un po’ di shopping.

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Ines è disperata senza saperlo, perché non ha mai tempo di chiedersi se la sua smania di eccellere in un lavoro che consiste nell’aiutare le aziende a licenziare le persone le stia mangiando l’anima oppure no. Quando il padre, che arriva a Bucarest senza preavviso, le chiede se ha una vita al di fuori del lavoro, lei gli risponde stupita: “Che vuol dire? Tipo andare al cinema?”.

Winfried, il padre, è interpretato dal bravo Peter Simonischek, un attore austriaco che finora ha lavorato soprattutto in teatro, anche con Peter Stein. Il suo metodo per riavvicinarsi alla figlia (e forse farle tornare il senno) è quasi dadaista. Fa l’idiota. Si mette una parrucca, una dentiera di plastica, in stile Halloween, e interpreta una serie di alter ego scherzosi. Interviene di continuo nella vita di Ines a Bucarest, mettendola anche in imbarazzo di fronte ai clienti.

Il padre imbarazzante è l’incubo di una qualsiasi figlia adolescente. Una cosa di cui sono pienamente consapevoli i padri che si mettono a cantare al supermercato quando sentono una vecchia canzone dei Lunapop, solo e esclusivamente per fare male alla loro prole (parlo da torturatore esperto).

Winfried fa cose molto peggiori che cantare al supermercato. Alcune sono veramente infantili e il disagio di sua figlia è spesso condiviso dagli spettatori. Il film preferisce di gran lunga la commedia scomoda al sentimentalismo. È una scelta sostenuta anche dello stile sporco e volutamente antiestetico della macchina da presa mobile, allergica al treppiede.

Descritto così, il film potrebbe sembrare una commedia demenziale, ma non lo è. Anche quando, verso la fine, un uomo entra a una festa di persone completamente nude travestito da enorme mostro peloso, portando il costume bulgaro tradizionale dei kukeri. È una delle scene più divertenti che vedrete al cinema quest’anno, se e quando Toni Erdmann troverà un distributore italiano.

Ma è anche una scena dal profondo significato emotivo, perché è qui che, finalmente, la ribellione di Ines, forse, comincia. Forse, perché la vita e le persone sono complicate e Toni Erdmann è un film troppo intelligente per darci delle soluzioni semplici.

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