Sarà stato un decennio fa quando, un pomeriggio di un giorno di maggio, ricevo una telefonata di Tullia Zevi, la più autorevole esponente dell’ebraismo italiano. È particolarmente turbata e mi spiega il motivo.

Ha appena ricevuto l’invito da parte del notissimo conduttore di una notissima trasmissione a partecipare a un dibattito televisivo. In studio sarà presente lo storico revisionista Robert Faurisson, che ha appena pubblicato un volume sulla Shoah (ovvero sulla falsità della Shoah).

Dopo la presentazione della sua tesi, ci sarebbe stato il confronto tra la Zevi e uno storico italiano piuttosto favorevole invece alla posizione di Faurisson.

Insomma, tema: “I lager non sono mai esistiti”, e poi: “uno a favore, uno contro”.

A Tullia Zevi si chiedeva ovviamente di fare la parte del “contro”.

Di fronte al suo netto rifiuto di interpretare quel ruolo, il conduttore mostrò sincera sorpresa. Non riusciva proprio a comprendere il motivo di quella decisione: per lui, la composizione di quel dibattito rappresentava la realizzazione del pluralismo nella sua forma massima e perfetta.

E poi perché temere il confronto, quando – confermava rassicurante il giornalista – si sta dalla parte della ragione e della verità storica?

Quest’ultimo argomento è certamente il più interessante. Quel conduttore non aveva la minima intenzione di negare l’esistenza delle camere a gas, ma pretendeva di affermare un’interpretazione, per così dire, illimitata e incondizionata del pluralismo. Ovvero una concezione tecnica e neutrale della dialettica democratica e del libero confronto tra opzioni diverse. In altre parole, una manifestazione estrema e pienamente compiuta della lottizzazione delle idee, nella sua rappresentazione plastico-teatrale.

Al centro, il Male Assoluto (Faurisson). E ai lati, sullo stesso piano e livellati da ruoli precisamente speculari, il Bene (Tullia Zevi) e il Dubbio (lo storico italiano moderatamente revisionista). Provvidenzialmente, la cosa non andò in porto e si è evitato, così, uno di quegli innumerevoli strazi quotidianamente perpetrati ai danni dell’intelligenza e del buon gusto.

L’episodio mi è tornato in mente nell’apprendere quanto è accaduto nel corso della trasmissione Piazza pulita lunedì scorso e quanto ha scritto in merito Gad Lerner.

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Nel suo blog, Lerner cita l’eurodeputato leghista Gianluca Buonanno, che “ha definito i rom ‘feccia dell’umanità’, con l’effetto spettacolo di averlo detto in faccia a Djana Pavlovic con sottofondo di applauso meccanico dei figuranti in sala”.

Spiegando come quell’episodio corrisponda a una sorta di format televisivo assiduamente reiterato (e oggi concentrato, in particolare, sull’ostilità contro rom e sinti), Lerner ha proposto un antidoto, “rapido efficace, silenzioso: basta dire no grazie. O noi o loro. Non partecipare a quelle oscene rappresentazioni. Lasciare vuote le sedie dei talk show che invitano ogni giorno Salvini, Borghezio, Buonanno”.

Sono incondizionatamente d’accordo. Da molti anni adotto tacitamente quel comportamento, rifiutandomi di prendere parte a confronti con esponenti leghisti o cripto-fascisti. Ma, certo, il dichiararlo e assumerlo come impegno collettivo (da parte di donne e uomini di buona volontà e di buon senso) sarebbe tutt’altra cosa.

Purtroppo è facile prevedere che la proposta di Lerner sarà destinata all’insuccesso: si troverà sempre qualcuno, e intendo dire proprio qualcuno a sinistra, che sciorinerà efficacissimi e callidissimi argomenti per spiegare l’utilità – invece – di affrontare “a pie’ fermo e a viso aperto” le posizioni fascio-leghiste. Io sono convinto che questo sia l’atteggiamento più sbagliato e l’intera storia dei talk show televisivi sta lì a dimostrarlo inequivocabilmente.

C’è poi da aggiungere una sommessa considerazione teorica qualora si volesse porre la questione su un piano generale, di metodo e di sistema. Una scelta, come quella suggerita da Lerner, non ha un effetto discriminatorio, dal momento che non mira a escludere dal circuito del discorso pubblico determinate posizioni (cosa per altro impossibile, oltre che errata).

Quella scelta intende, piuttosto, auto-escludersi da un confronto che risulta privo dei requisiti indispensabili per essere effettivamente tale. Ovvero la condivisione tra gli interlocutori di un minimo di opzioni morali e di regole di linguaggio. Come è possibile discutere con chi ritiene che una determinata minoranza sia “la feccia dell’umanità”?

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