Cos’è. The interview è il film di Seth Rogen e Evan Goldberg al centro della cronaca negli ultimi giorni. A giugno il governo nordcoreano ha minacciato ripercussioni gravi nel caso in cui il film fosse stato distribuito. Successivamente la Sony ha subìto attacchi e furti di dati per via informatica che la Cia ha assicurato essere riconducibili a Pyongyang, e qualche settimana fa sono arrivate le minacce di attentati terroristici ai cinema che avessero proiettato il film. La giapponese Sony che produce, e la sua controllata Columbia che distribuisce, hanno deciso di ritirare il film. A questo punto è intervenuta la Casa Bianca, che si è detta scontenta della decisione. Siamo arrivati al ribaltamento di Natale, per cui il film è distribuito su tutte le piattaforme possibili, e vive in questi giorni un nuovo posizionamento patriottico che gli assicurerà molto probabilmente un certo successo.
The interview è una commedia a sfondo politico che racconta di un presentatore televisivo e del suo produttore, James Franco e Seth Rogen, che decidono di far fare un salto di qualità giornalistica al loro programma di intrattenimento e gossip sul mondo dello spettacolo. Scoprono che Kim Jong-un è un fan del loro show, e riescono a organizzare trasferta e intervista. La Cia, rappresentata dalla sempre più bella Lizzy Caplan, chiede loro di approfittare dell’occasione per avvelenarlo. I due vanno in Corea del Nord, realizzano l’intervista, debellano il dittatore.
Com’è. Il film è una commedia bromantica (commendia romantica che ha per protagonisti degli amici tardoadolescenti senza sbocchi sentimentali) con il tono e l’andamento dell’altro film diretto da Rogen, l’apocalittico deficiente e a tratti decisamente buffo This is the end. Rogen e Franco parlano per tutto il tempo come amici in gita senza genitori e senza femmine, e il film è costantemente sopra le righe, tra la parodia della retorica militare hollywoodiana, quella della rappresentazione giornalistica dei paesi nemici, e una più generica iperbole continua dei momenti tipici del racconto cinematografico pop. Tutto quello che succede è concepito come una gag più o meno sottile del momento tipico: l’intervista televisiva della star, l’arrivo della Cia, l’addestramento militare, il viaggio, l’incontro con gli asiatici eccetera. Ma la trama non presenta veri snodi profondamente divertenti: è più un’ambientazione per delle gag dove Rogen è un intelligente ambizioso goffo, e Franco è un imbecille sincero e inconsapevole. I due, in sintesi, sono dei teneroni sboccati e simpatici. Molti degli spunti comici sono legati alla scorrettezza politica delle frasi dette da Franco davanti al suo amico e agli sconosciuti.
Perché vederlo. Ne parlano tutti, ed è interessante capire di cosa si stiano occupando da mesi i manager della Sony e della Columbia, i militari nordcoreani, l’ambasciatore di Pyongyang alle Nazioni Unite Ja Song-nam, il leader Kim Jong-un, gli hacker al soldo della dittatura, i giornalisti del cinema, della tv, della politica internazionale, la Casa Bianca, la Cia e Barack Obama. Poi c’è Lizzy Caplan di cui è bello innamorarsi ogni volta che si può. Il film non è comunque molesto.
Perché non vederlo. Esiste un film che racconta con gli stessi intenti una storia simile. Si chiama Team America: World Police, ed è una parodia post-11 settembre dello spirito che si respirava dieci anni fa negli Stati Uniti. Scritto da Trey Parker e Matt Stone, gli autori di South Park, ha per protagoniste delle marionette animate nello stile di Thunderbirds, la serie britannica anni sessanta dei grandissimi coniugi Anderson. Lo spirito di quel film era sinceramente dirompente in tutto, soprattutto nel suo sfottere le anime belle di Hollywood, il governo americano, l’opinione pubblica, i mezzi d’informazione: non si salvava nessuno, men che meno Kim Jong-il (il padre di Kim Jong-un). The interview è un film che racconta questa storia, ma senza lo spirito sinceramente punk e iconoclasta del modello (che tale è, senza dubbio), e con battute decisamente peggiori. Inoltre James Franco è troppo belloccio e impeccabile per fare veramente ridere, anche se forse questa è una notazione personale.
Uno dei fulcri comici del film, su cui ruotano molte battute, è il culo, compresi peti e feci, ma con una particolare predilezione per la parte in sé, il butthole, che indicheremo con l’acronimo bdc. Nella prima scena del film, Eminem intervistato da Franco dichiara di essere gay, e subito gli vengono riletti dei suoi testi che parlano di bdc. Successivamente si gioca con il motto “They hate us because they ain’t us”, ci odiano perché non sono noi, trasformandolo in “They hate us because they anus”, ci odiano perché bdc. All’addetta stampa nordcoreana viene subito chiesto se è vero che il sovrano non ha il bdc come dice l’agiografia popolare, e lei conferma. La cosa viene poi chiesta direttamente a Kim Jong-un, e lui ridendo dice che sì, certo che ha un bdc, “e ha un sacco di lavoro”. Rogen si infila una grossa capsula mandata via missile dalla Cia nel bdc per non essere scoperto, e se ne parla per cinque minuti. Il tecnico della messa in onda con cui combatte Rogen finisce con un joystick di controllo di una telecamera nel bdc, e con lo stesso cambia le inquadrature. Infine Kim Jong-un spara dichiaratamente nel bdc a un militare.
Questi film di ragazzoni un po’ idioti che fanno pazzie e vivono come eterni adolescenti sono fatti di scemenza, ed è giusto che ballino sul crinale del cattivo gusto, scollinando volentieri quando è necessario. Ma qui si ride poco in assoluto, e molto poco per un film con una trama del genere. Si ride, va detto, decisamente pochissimo per tutto il furore che si è scatenato, e indubbiamente per le figure coinvolte, ma a volte la società degli uomini fa cose assurde, ed è un po’ il suo bello.
Una battuta. Ladies and gentlemen, Kim Jong un has just pooed in his pants!
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