Cos’è. È un film scritto e diretto dal Tom McCarthy, figura poliedrica di attore (Ti presento i miei, The wire e molto altro), sceneggiatore (Up, The cobbler) e regista. Il caso Spotlight racconta la storia dell’indagine giornalistica condotta da una squadra del Boston Globe sulle violenze sessuali di molti preti dell’arcidiocesi di Boston su bambini e adolescenti di ogni sesso. La squadra Spotlight, cellula indipendente nella redazione del quotidiano che si occupa di inchieste di ampio respiro, comincia a indagare su questi casi mentre la città intera si chiude a proteggere il più sacro dei suoi pilastri, la chiesa cattolica più influente del Nord America. A capo della squadra Spotlight c’è Michael Keaton, e per lui lavorano Mark Ruffalo, Rachel McAdams e Brian d’Arcy James. Liev Schreiber è il nuovo direttore del Globe che, anche perché ebreo e forestiero, è impermeabile alle pressioni ambientali e dà fiducia all’indagine.

Il film è scritto insieme a Josh Singer, tra gli autori della celebre serie The west wing. La fotografia è di Masanobu Takayanagi (Il lato positivo - Silver linings playbook, Black mass - L’ultimo gangster), il montaggio è di Tom McArdle e le musiche di Howard Shore. Il caso Spotlight è candidato a sei premi Oscar.

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Com’è. Un film d’inchiesta giornalistica che colpisce al cuore il potere è per forza di cose figlio del cinema degli anni settanta, e in particolare di Tutti gli uomini del presidente, il film di Alan J. Pakula con Dustin Hoffman e Robert Redford nel ruolo di Bob Woodward e Carl Bernstein, i giornalisti del Washington Post che portarono alle dimissioni il presidente Richard Nixon. Il caso Spotlight racconta una storia in sé più piccola ma dalle ripercussioni enormi, e lo fa con uno stile molto più sobrio, anche perché qui non ci sono informatori da incontrare in un parcheggio sotterraneo né minacce e servizi segreti.

Il tema si presterebbe a rappresentazioni più enfatiche e appassionate, e se il regista fosse per esempio Oliver Stone ci sarebbero frasi storiche e confessioni struggenti. Invece McCarthy opta per uno stile assolutamente sobrio, tanto che perfino i momenti più toccanti, quando le vittime descrivono il loro tormento, stanno il più possibile lontani dalle lacrime. La città di Boston è uno dei protagonisti del film, con il suo orgoglio e l’equilibrio delle sue forze tradizionali che cercano di resistere a questo tsunami al rallentatore. E poi c’è tanta redazione, ci sono i dialoghi tra scrivanie, i giornalisti seduti storti che parlano al telefono: un luogo classico del racconto hollywoodiano che ha sempre il suo fascino.

L’andamento dell’indagine è un crescendo costante fatto di rifiuti, porte in faccia, spiragli, bastoni tra le ruote, il coraggio di qualcuno e via così. Gli attori gestiscono bene questa dinamica (soprattutto Ruffalo e Schreiber), interpretando una sceneggiatura che spesso si limita a scandire i fatti e li lascia senza pezzi di bravura evidenti.

Perché vederlo. Il caso Spotlight è un film d’inchiesta vecchio stampo, dove il susseguirsi degli eventi accompagna lo spettatore nella verità storica di quello che è accaduto (i giornalisti del Boston Globe vinsero il premio Pulitzer nel 2003). Nella percezione di molti spettatori italiani i fatti raccontati saranno anche abbastanza inediti, perché nel nostro paese a suo tempo se ne parlò poco, e per via della stessa cautela omertosa – diciamo così – insita in una città come Boston e in un paese di cultura cattolica come il nostro. Questo non solo per le influenze del Vaticano o l’ipocrisia di chi avrebbe dovuto raccontare, ma anche per la difficoltà di affrontare l’idea che i rappresentanti di un’istituzione che ha compiti di educazione dell’infanzia distruggano la vita ai bambini che gli sono stati affidati e cerchino di uscirne puliti. In questo senso il film può fare riflettere il pubblico del nostro paese più di altri, anche per via del suo stile così contenuto, che non stempera mai la consapevolezza nella commozione.

Perché non vederlo. Il caso Spotlight racconta in maniera molto chiara dei fatti veri e importanti, ma sceneggiatura e regia sono i suoi più evidenti punti deboli. Perché un film molto misurato può essere asciutto, avere una scrittura precisa, una regia trasparente, ma risultare comunque fermo nel tocco e personale nello stile. Invece questo film è scolastico, senza slancio, spesso molto simile a un film verità televisivo. Per quanto il tema e il lavoro corale degli attori lo abbiano spinto con forza verso la prossima notte degli Oscar, Il caso Spotlight non è un bel filmone civile, ma un resoconto piatto e spesso faticoso di una vicenda che era necessario raccontare.

Una battuta. Avevo undici anni.

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