Se c’è un parere che non sopporto sulla gestione del tempo (in realtà sono centinaia, ma non posso elencarli tutti) è il luogo comune secondo il quale abbiamo tutti a disposizione le 24 ore di un giorno. La versione che ne ho trovato in un libretto senza pretese, intitolato Life’s little instruction book, è: “Non dite di non avere abbastanza tempo, avete esattamente lo stesso numero di ore al giorno che avevano Pasteur, Michelangelo, Madre Teresa ed Einstein”.

Sono costretto ad ammettere che, in un certo senso, questo è vero, ma non ha molto a che vedere con la vita della maggioranza di noi. Se possiamo permetterci di tenere in casa uno chef a tempo pieno, effettivamente abbiamo più ore a disposizione di chi non se lo può permettere. E le abbiamo a disposizione anche se siamo tra le poche persone che stanno benissimo dormendo solo cinque ore. Per tutte le altre questo è solo irritante. Ma è comunque utile per chi si senta sopraffatto dalle cose da fare, perché dimostra che, contrariamente a quello si pensa, e anche alle leggi della fisica, esistono davvero dei modi per creare più tempo.

Questo concetto è stato espresso bene dal programmatore Patrick McKenzie (che ho scoperto attraverso lifehacker.com). McKenzie sostiene che dovremmo pensare al tempo come al denaro, in termini di guadagni e perdite. Alcuni modi di usarlo ce ne fanno a avere dell’altro in futuro, un po’ come quando versiamo i nostri risparmi in un conto corrente ad alto interesse (nota per i lettori più giovani: in passato questi conti bancari esistevano sul serio). Altri, invece, ci costeranno più tempo in futuro, come quando ci indebitiamo usando una carta di credito.

Il settore in cui opera McKenzie, quello della programmazione informatica, è pieno di “guadagni di tempo”: si scrive un programma perché svolga una funzione, e poi non c’è più bisogno di riscriverlo, basta eseguirlo ogni volta che si vuole attivare quella funzione. Un altro esempio è creare una pagina web con le domande più frequenti (faq): si perde tempo prima, ma poi si guadagnano le ore che servirebbero per rispondere ai singoli utenti. Se dedichiamo qualche minuto a riparare una porta che si incastra, prima o poi il tempo che risparmieremo chiudendola facilmente supererà quello che abbiamo speso per fare quel lavoro.

La cosa più spaventosa, però, sono i debiti di tempo. McKenzie definisce debiti “tutte quelle azioni che inevitabilmente comportano altro lavoro in futuro”. Per un informatico, per esempio, significa commettere errori di programmazione che poi richiederanno secoli per essere eliminati. E vale anche per le email: quasi ogni volta che inviamo o rispondiamo a un messaggio, implicitamente ci impegniamo a rispondere a chi ci risponde. Perciò, quando impieghiamo due minuti per scrivere un’email, anche se abbiamo la sensazione di aver eliminato due minuti di lavoro, in realtà aggiungiamo altri minuti al nostro carico. Non sto dicendo che dovreste smettere di rispondere alle email. Ma una volta che comincerete a vedere le cose in questo modo, vi troverete a suddividere il vostro tempo in modo diverso, a investire un po’ di più e a spendere un po’ di meno. Io l’ho fatto.

Ma non date retta a me. Ascoltate Gabriel García Marquez. Lo scrittore colombiano una volta raccontò che quando aveva cominciato a scrivere a tempo pieno si sentiva in colpa se non lavorava tutto il giorno. “Poi ho scoperto che il lavoro fatto nel pomeriggio dovevo rifarlo la mattina dopo”, spiegò. Quindi decise di smettere alle due e mezzo, perché il lavoro pomeridiano gli creava un debito di tempo per il giorno successivo. Non era solo meno produttivo, era controproducente. A volte abbiamo l’impressione di stare facendo delle cose. E se invece fosse il contrario?

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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