Io sono una persona incurabilmente ambivalente, ma lasciate che vi dica una cosa: non è che mi dispiaccia poi tanto. Tutti esaltano la risolutezza e la chiarezza di idee, e accusano di indecisione chi tende a vedere entrambi i lati di una questione. Su Facebook possiamo cliccare “Mi piace” e c’è qualcuno che suggerisce già di aggiungere il tasto “Non mi piace”, ma non ce ne sarà mai uno che dice “Mi piace e non mi piace”.
“Non esiste un modo accettabile per confessare che si considerano vere due affermazioni in conflitto tra loro”, ha commentato su Slate lo scrittore Ian Leslie. “In nessun questionario esiste la risposta ‘Concordo con entrambe queste opinioni contrastanti’. Quindi saltiamo la domanda, o scegliamo ‘Non lo so’”. Ma “Non lo so” suggerisce ignoranza o indifferenza, mentre l’ambivalenza significa che proviamo due sentimenti discordanti. Ammiriamo quelli che hanno il “coraggio delle proprie opinioni”, anche se è proprio questo tipo di persone ad aver provocato tutte le guerre della storia. Ma naturalmente certe guerre sono giustificate, e quindi… Oddio, non so più che cosa penso.
Perciò è stato con piacere insolitamente non ambivalente che ho letto due studi pubblicati di recente, secondo i quali l’ambivalenza ha i suoi pro e i suoi contro. Uno dei due giunge alla conclusione che avere obiettivi conflittuali può portarci a prendere decisioni migliori, perché il conflitto ci costringe a riflettere più a fondo su tutte le opzioni. L’altro riguarda i “rapporti ambivalenti” (nemico-amico) sul posto di lavoro. Un rapporto di amore e odio con un collega può farci lavorare meglio, sostengono i ricercatori, perché siamo sempre tentati di metterci nei suoi panni per cercare di capire i suoi comportamenti. “È un modo utile per vedere il mondo con occhi diversi”, ha dichiarato al New York Magazine la psicologa Naomi Rothman, e la sua ricerca non è la prima a collegare l’indecisione alla creatività.
Questo non significa che essere ambivalenti sia sempre un bene. Sembra che sia una delle cause dello stress e dell’ipertensione, e che nella sua forma più cronica causi la rovina dei rapporti sentimentali. Ma è anche una difesa dalla routine, e cambiare prospettiva ci permette di vedere le persone, i luoghi e i progetti con occhi nuovi. Potrebbe essere utile mantenere volutamente un po’ di ambivalenza nella nostra vita: restare in contatto con i nemici-amici, leggere libri e visitare luoghi che ci piacciono ma forse no. Una vita piena solo di persone e di cose che ci piacciono può essere mortalmente noiosa.
Un’altra cosa che noi tipi ambivalenti riusciamo a capire è che i grandi dilemmi della vita, quelli che provocano maggiore indecisione, raramente si risolvono agendo “con decisione” e schierandosi da una parte piuttosto che da un’altra. “I problemi più seri e importanti della vita sono tutti in un certo senso insolubili”, scriveva Carl Jung. Non possono essere risolti, ma solo superati: “All’orizzonte sorge un interesse più alto e più ampio, e grazie a questa visione allargata, il problema insolubile perde la sua impellenza. Adesso sembra come un temporale nella valle visto dalla cima di una montagna. Non significa che il temporale sia diventato meno reale, ma che invece di esserci dentro, lo si guarda dall’alto”. Non ci libereremo mai dell’ambivalenza. Ma forse possiamo arrivare a essere meno ambivalenti su questo.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
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