Un recente studio sul rapporto tra sesso e felicità sta suscitando grande interesse da parte dei mezzi d’informazione, probabilmente perché parla di sesso, e per le aziende dell’informazione assetate di traffico ricevere un enorme numero di clic con una storia sul sesso è meglio del sesso stesso.

La principale conclusione dello studio è che un’attività sessuale più intensa non ci rende automaticamente più felici. Anzi, contrariamente a quello che pensa la maggior parte dei ricercatori, e anche di quelli che lo praticano, spesso ci fa stare peggio.

L’esperimento funzionava così. Su 128 coppie reclutate la metà doveva raddoppiare l’attività sessuale, poi tutti i soggetti dovevano compilare ogni giorno per tre mesi un questionario sulla loro vita amorosa e il loro livello di felicità. Forse avrete già capito qual è stato il problema. E in realtà anche gli autori dello studio ne erano consapevoli. Il modo migliore per descrivere i risultati potrebbe essere questo: quando quattro professori della Carnegie Mellon university di Pittsburgh ti ordinano di fare più sesso e di riempire un modulo ogni giorno, è difficile sentirsi più felici.

In altre parole, qualsiasi cosa può diventare deprimente quando diventa un obbligo. È per questo che dovremmo pensarci bene prima di seguire il popolare consiglio di trasformare la nostra “passione” – per esempio, restaurare sedie antiche – in un mestiere. Quando siamo assolutamente obbligati a farlo, anche alle 9 di mattina di un giovedì di pioggia, potremmo ritrovarci ancora più infelici di prima: incastrati in un’attività che non sopportiamo, senza più neanche la possibilità di distrarci con un hobby durante i fine settimana.

Uno dei motivi è l’irresistibile bisogno umano, ripetutamente dimostrato dagli psicologi, di provare un senso di autonomia. Qualsiasi consiglio (“Fate più sesso” o “Fate il lavoro che vi piace”) può essere ottimo, ma c’è una grossa differenza se l’impulso viene da voi o da qualcun altro. Essere altruisti è una cosa ottima, ma sentirci dire di doverlo essere può farci infuriare. Per fare un esempio più estremo, prendiamo il caso del perdono dopo la strage nella chiesa di Charleston. Offrirlo spontaneamente, come hanno fatto le famiglie delle vittime, può essere un atto di grande generosità. Invitare qualcun altro a perdonare, come hanno fatto varie persone che hanno assistito all’evento, è un’odiosa prevaricazione.

Purtroppo, per provare questo senso di autonomia molti sono tentati di imbarcarsi in attività destinate al fallimento. Nel suo recente libro The world beyond your head, il filosofo Matthew Crawford sostiene che la moderna mania del divertimento funzioni così. Siamo arrivati ad attribuire tanta importanza all’autonomia, che dover leggere un capitolo di un libro o conversare con un amico finisce per sembrarci un’imposizione, mentre controllare furtivamente il cellulare ci sembra un’affermazione di indipendenza.

Ma ci sono cose che contano più della libertà di seguire i propri capricci. Le maggiori soddisfazioni della vita spesso richiedono la capacità di continuare a fare qualcosa pure quando abbiamo la sensazione che sia un dovere opprimente (Crawford non dice che questo vale anche per il sesso). Vorrei concludere la rubrica di questa settimana consigliandovi di leggere il suo libro, ma forse vi rifiutereste di farlo, giusto per il gusto di mantenere la vostra autonomia.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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