Secondo parecchi studi condotti negli ultimi tempi, siamo tutti sessisti e odiamo i poveri. Be’, non noi personalmente, o meglio, anche noi personalmente, per quanto possiamo essere convinti del contrario. Da uno di questi studi è emerso che ipoteticamente agli uomini piace l’idea di uscire con una donna intelligente, ma in pratica non sono molto disposti a conoscerne una.

Un altro ha dimostrato che entrambi i sessi pensano che le donne, e solo le donne, quando sono arrabbiate sono meno credibili. Un terzo ha scoperto un diffuso pregiudizio inconscio a favore dei ricchi, anche tra le persone che negavano di averlo. E un quarto è giunto alla conclusione che il cibo ci attira di più se confezionato in termini sessisti: grosso e nutriente per gli uomini, leggero e sano per le donne. E, come sappiamo dalle ricerche sui “pregiudizi impliciti”, esserne vittima (donna, nero o povero) non significa necessariamente non condividerli.

Sazietà morale

Simili scoperte di solito causano grande indignazione per il permanere di questa mentalità antidiluviana. Ma qualcuno ha sollevato una domanda inquietante: e se indignarci per questi pregiudizi fosse addirittura peggio che averli?

Gli psicologi la chiamano “sazietà morale”: accusare gli altri di avere pregiudizi ci dà la sensazione di aver fatto il nostro dovere, di non essere tenuti a fare altro, mentre in realtà probabilmente abbiamo solo consolidato la nostra convinzione – tutt’altro che dimostrata – che non cadremo mai preda di quei pregiudizi.

Questo succede ancora più spesso oggi, quando qualunque testa calda che scrive su internet usa con disinvoltura il linguaggio dei pregiudizi cognitivi e degli errori logici un tempo riservato agli specialisti. Non c’è modo più facile di evitare l’introspezione che accusare qualcun altro di pregiudizio o di errore, anche se considerarci immuni da queste cose è già in sé un pregiudizio cognitivo. L’accusatore si allontana nel tramonto, compiaciuto e convinto di avere la coscienza a posto.

Nessuno ha più probabilità di essere sessista o razzista di una persona convinta di non poterlo essere

Il vero problema è che consideriamo i pregiudizi semplici anomalie, occasionali difetti di funzionamento del cervello che vanno eliminati, e dai quali le brave persone possono ragionevolmente aspirare a essere esenti.

Ma tutti gli studi del settore dimostrano che in realtà sono strumenti basilari del ragionamento umano, siamo costretti a dare giudizi immediati, usando qualche scorciatoia, altrimenti non potremmo mai prendere certe decisioni.

In fondo, anche assumere un bravo insegnante piuttosto che uno incapace è una forma di discriminazione; l’unica differenza è che è giusto e sensato farlo, mentre discriminare in base al colore della pelle non lo è (discriminiamo anche tra i tipi di discriminazione!). Se vogliamo essere pedanti, quindi, “eliminare le discriminazioni” è un obiettivo indesiderabile e irraggiungibile. Quello che conta veramente è discriminare bene.

Può sembrare che io stia giocando con le parole, ma in realtà non è così, come dimostra il sociologo Adam Sandel nel suo libro The place of prejudice, nel quale sostiene che i pregiudizi – in generale – sono il nostro modo di dare un senso al mondo. Se pensiamo al pregiudizio come a qualcosa che è possibile eliminare, siamo tentati di fare un passo in più e immaginare di esserne immuni. Il che, paradossalmente, ci rende più soggetti al fanatismo: nessuno ha più probabilità di essere sessista o razzista di una persona convinta di non poterlo essere. È un avvertimento al quale dovremmo tutti prestare ascolto. Non io, naturalmente, io non ho di questi problemi: intendo dire, tutti voi.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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