La settimana scorsa più di 1.300 fedeli in pellegrinaggio annuale alla Mecca (hajj) sono morti a causa di temperature che hanno superato i 51 gradi. Quando si verifica un numero così elevato di decessi in occasione di un evento di questa portata è doveroso porsi alcune domande, in questo caso relative all’organizzazione di un momento cruciale della vita dei musulmani ma anche alle temperature in vertiginoso aumento.

Ogni anno l’hajj attira in Arabia Saudita circa due milioni di persone provenienti da tutto il mondo. La loro presenza crea problemi logistici, economici e di sicurezza (in passato ci sono stati diversi attentati). A tutto questo si aggiungono sempre più spesso le questioni legate al clima. Temperature di 51 o 52 gradi si sono rivelate insostenibili per i più anziani e i più fragili.

Le autorità saudite sono consapevoli del problema e hanno installato nebulizzatori nelle grandi arterie percorse a piedi dai pellegrini, oltre ad aver raccomandato l’uso di protezioni. Le foto, in effetti, mostrano una marea di ombrelli per difendersi dal sole cocente. Inoltre, sono state imposte quote di visitatori, e proprio questa è una delle cause della tragedia.

Nel fine settimana si è saputo che il governo egiziano ha cancellato le licenze di sedici agenzie che avevano organizzato viaggi non autorizzati alla Mecca. Per aggirare le quote, le agenzie senza scrupoli hanno portato i fedeli alla Mecca prima che entrassero in vigore le restrizioni, abbandonandoli lontano dalla meta e costringendoli a completare il percorso a piedi attraverso vie parallele.

Le autorità saudite affermano che la maggior parte delle vittime era composta da pellegrini non autorizzati, obbligati a camminare per chilometri in un caldo torrido. Gli egiziani rappresentano metà delle 1.300 vittime.

Questo business cinico non è una novità, al contrario delle condizioni climatiche che hanno trasformato questi escamotage in condanne a morte. Questo è il messaggio allarmante lanciato dal dramma della Mecca.

Le temperature raggiunte la settimana scorsa non sono eccezionali. Quest’anno diversi paesi hanno vissuto picchi oltre i 50 gradi con conseguenze disastrose per la salute delle persone.

Le zone più colpite si trovano in India e Pakistan (tra i primi a registrare temperature da record) ma anche in Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Messico, dove il picco è stato di 51 gradi. L’area del Mediterraneo è ugualmente minacciata, con temperature tra i 40 e i 50 gradi. In Algeria e Marocco la colonnina di mercurio è andata sopra i 50 gradi.

Non si tratta di previsioni, ma di temperature reali, le più alte mai registrate dall’inizio delle rilevazioni. Potremmo comportarci come struzzi e ignorare la situazione, indifferenti alle morti della Mecca perché… in fondo è solo La Mecca!

Tuttavia, è innegabile che intere aree del nostro pianeta stiano diventando sempre più ostili e potrebbero presto risultare invivibili. Questo fenomeno dovrebbe essere il principale tema di discussione e mobilitazione mondiale, ma purtroppo, come constatava l’ex presidente francese Jacques Chirac già 22 anni fa in occasione della Conferenza sul clima di Johannesburg, “continuiamo a distogliere lo sguardo”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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