Quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato l’uso della forza per proteggere i civili libici ha preso una decisione complessa, piena di incertezze sul modo di attuarla e sulle sue conseguenze. Ma se consideriamo quello che succede in Libia (dove la lotta dei ribelli per la libertà si accompagna agli attacchi crudeli e violenti del regime di Gheddafi, che ha usato i mercenari stranieri contro il suo stesso popolo), la decisione del Consiglio di sicurezza è inattaccabile dal punto di vista morale.

Ora che la maggioranza dei libici, la Lega Araba e il Consiglio di sicurezza hanno espresso il desiderio di fermare o cacciare Muammar Gheddafi, bisogna fare tutto il possibile per aiutare i ribelli dal punto di vista militare, economico, politico e umanitario.

Gheddafi è un abominio nella storia delle nazioni, della leadership e dell’arabismo. Nessuno ha mai svilito il proprio paese quanto lui, rubando e dilapidando miliardi di dollari, sprecando il potenziale umano del suo popolo e creando imbarazzo alla comunità internazionale. Il colonnello non è un pazzo innocuo, anzi sta seminando morte e devastazione su vasta scala. Dev’essere fermato, soprattutto perché i libici hanno dimostrato di volerlo cacciare, anche a costo della vita.

Nelle ultime settimane molti esperti di politica e diplomazia mediorientale si sono interrogati a lungo sull’opportunità di un intervento esterno a sostegno dei ribelli. Le discussioni si sono concentrate su questioni di ordine morale, giuridico e pratico, oltre che sulle possibili conseguenze di un precedente come questo. In altri termini, se il mondo interviene oggi in Libia, potrà in futuro rifiutare le richieste di intervento a Gaza, in Sudan, nello Yemen o in altri paesi in guerra?

Si tratta certamente di questioni fondamentali ma possono aspettare fino a quando la Libia sarà libera e Gheddafi sarà storia passata, e magari si troverà sul banco degli imputati di fronte a un tribunale internazionale o libico. In questo momento le questioni di principio devono essere accantonate per cogliere senza esitazione l’opportunità di sostenere quei libici coraggiosi che stanno pagando con la vita il prezzo della libertà. Se sono disposti a sacrificare le loro vite contro un esercito di gran lunga superiore perché vogliono vivere come esseri umani, il minimo che possiamo fare è sostenerli.

L’arabismo tradito

Per molto tempo mi sono opposto agli interventi occidentali, e in particolare a quelli angloamericani nel mondo arabo, ma il caso della Libia è diverso: è evidente che i suoi cittadini, gli altri paesi arabi e quasi tutti i paesi del mondo appoggiano l’intervento. Molti governi occidentali e arabi hanno corteggiato Gheddafi e hanno fatto affari con lui, e adesso forse hanno la possibilità di redimersi sostenendo i ribelli.

Il sostegno militare straniero ai libici, che comprende l’imposizione di una no-fly zone e l’organizzazione di raid aerei sulle truppe e le installazioni militari di Gheddafi, non è privo di rischi. Ma sono rischi che vale la pena di correre e che possono essere ridotti invitando altri paesi arabi a sostenere o a partecipare concretamente alle operazioni militari.

Per i leader arabi che hanno sempre sottolineato l’importanza della legalità, della moralità e di altri princìpi fondamentali, è venuto il momento di fare un passo avanti e partecipare attivamente alla liberazione della Libia. Sostenere che l’onore o la solidarietà collettiva degli arabi impediscono a un governo arabo di intraprendere azioni diplomatiche o militari contro un altro paese arabo è un’argomentazione priva di senso se applicata al caso libico. Tutti quegli arabi che parlano di onore e arabismo farebbero la figura dei ciarlatani se rimanessero a guardare gli eventi libici in tv, immobilizzati dal punto di vista politico e castrati da quello morale. Farebbero meglio a difendere questi ideali partecipando alle azioni politiche e militari per sconfiggere Gheddafi, che ha tradito tutto ciò che c’era di buono nell’arabismo.

In molti paesi arabi i cittadini hanno manifestato il loro desiderio di vivere in società fondate sulla libertà, la democrazia, la dignità e l’integrità. Nella maggioranza dei casi i leader arabi non hanno realizzato niente di tutto ciò. Ora hanno la possibilità di riscattarsi finché possono ancora esercitare la loro leadership.

Questo è il momento in cui tutti gli uomini e le donne d’onore devono mobilitarsi a sostegno di Bengasi e dei suoi difensori.

*Traduzione di Giusi Muzzopappa.

Internazionale, numero 890, 25 marzo 2011*

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