Tutto il potere ai presidi. Ma il preside non c’è. Mentre il parlamento è impegnato a votare a rotta di collo sulla buona scuola, e i sindacati uniti preparano nelle piazze uno sciopero storico, nelle scuole della repubblica si vive un paradosso.
I dirigenti, perno della nuova scuola che secondo la protesta incarna il motto “un uomo solo al comando”, non ci sono. Già adesso mancano 1.200 presidi, nelle scuole italiane: tante sono le scuole date a dirigenti “reggenti”, cioè che hanno più di una scuola. E dall’anno prossimo, per i pensionamenti in corso, si arriverà a duemila scuole su 8.500. Il relativo concorso, promesso da tempo, è slittato. Quello precedente, fatto nel 2011, in due grandi regioni – Campania e Toscana – non è ancora chiuso, affogato da ricorsi e contenziosi.
Se la “buona scuola” tiene tanto ai presidi-manager, non sembra però preoccuparsi molto di sceglierli, formarli, aggiornarli, valutarli. Si è scoperto infatti che mancano anche gli ispettori: ossia coloro che dovranno valutare i superdirigenti. Un emendamento presentato alla camera stanzia sette milioni per reclutarne un po’ in via straordinaria, subito.
Un bel paradosso, per una riforma che vuole cambiare la scuola partendo proprio dalla testa. E che però, nel suo breve cammino, si è già scontrata – prima che con il fronte dei sindacati, o con le maestre in piazza – con la complessità del mondo dell’istruzione, e con qualche contraddizione interna.
Che ha portato a ridimensionare un po’ un progetto nato all’insegna del gigantismo: quattordici deleghe al governo per riformare la scuola, 100.701 assunzioni in ruolo, superpoteri al superpreside. Da record anche i numeri parlamentari: più duemila emendamenti, per una discussione dai tempi serratissimi, con la missione impossibile di far arrivare in cattedra tutti i precari entro il primo settembre di quest’anno e quella possibile di far uscire un testo dalla camera entro la data delle elezioni regionali.
Gigantesco pure il fronte della protesta, unito come non lo era stato neanche ai tempi dei tagli draconiani di Maria Stella Gelmini, offeso dal merito e soprattutto dal metodo della riforma, dalla quale i sindacati sono stati tenuti completamente fuori. Ma adesso, alla vigilia dello sciopero e dopo meno di un mese di vita parlamentare del disegno di legge (ddl) 2994 detto della “buona scuola”, non è più tempo di giganti. La grande riforma s’è ristretta. Vediamo come.
I dirigenti, perno della nuova scuola che secondo la protesta incarna il motto ‘un uomo solo al comando’, non ci sono
I due pilastri della riforma erano, fin dall’inizio, tra loro abbastanza contraddittori. Da un lato, la grande sanatoria sul passato, con il “piano assunzionale” per farla finita con l’eterna attesa delle graduatorie e del loro lento scorrere come meccanismo semiautomatico di ingresso in cattedra; dall’altro un modello aziendale per il futuro, con il preside che si sceglie i docenti pescandoli, a sua discrezione, da un albo regionale nel quale finiscono solo i vincitori di concorso. Da un lato, il più tipico e antico dei meccanismi creatori di consenso; dall’altro la promessa di qualcosa di nuovo e mai visto. Finora, nessuno dei due pilastri ha retto tanto bene.
Primo pilastro. Il “piano assunzionale”, appena diffuso, ha scatenato le proteste degli esclusi, più visibili, per ora, del consenso degli eletti.
Tra i primi, hanno ricevuto unanime sostegno gli idonei del concorso del 2012, vittime di un’altra di quelle rivoluzioni annunciate che ogni governo promette alla scuola: poiché quel concorso doveva aprirne una serie di altri simili, l’allora ministro (Profumo) aveva preannunciato che sarebbe stato un concorso a cattedre, ossia che i vincitori dovevano essere perfettamente coincidenti con il numero delle cattedre in palio. Gli altri, si disse, avrebbero dovuto aspettare il successivo concorso. Ma non fu così, tutti coloro che avevano superato le prove furono giudicati idonei all’insegnamento, con graduatoria pubblicata dal ministero.
Va detto che non erano moltissimi, la selezione c’era stata e anche severa, dato l’altissimo numero di partecipanti a quel concorso. Eppure, la “buona scuola” straccia quelle promozioni e dice agli oltre seimila idonei ancora in attesa: “Non avete vinto, ritentate”. Nel “piano assunzionale” entrano solo quelli che stavano nelle graduatorie a esaurimento, ossia quelle più antiche, che a dispetto del loro nome – introdotto a suo tempo dal ministro Fioroni che voleva chiuderne l’accesso per poi svuotarle – sono ancora belle piene.
Tra loro ci sono anche persone che non insegnano da anni, o che hanno classi di insegnamento non più esistenti (pare che tra i dirigenti serpeggi l’interrogativo: dove mettere le centinaia di insegnanti di odontotecnica, quando arriveranno, visto che i relativi istituti sono stati aboliti? E quelli di stenografia?). E poi protestano i docenti delle graduatorie di istituto, le maestre della materna che restano fuori in attesa della prossima grande riforma della scuola da 0 a 6 anni, i giovani laureati e abilitati con i vari corsi per i quali hanno speso tempo e soldi negli ultimi anni.
Di almeno una fascia degli esclusi il parlamento pare intenzionato a tener conto, mettendo nel piano di assunzioni gli idonei al concorso 2012. E su questo, potrebbe esserci una disponibilità del governo a introdurre la questione nell’iter parlamentare della legge.
Secondo pilastro. La seconda mediazione è più consistente, ed è nel ridimensionamento dei superpoteri del dirigente scolastico. Che già nell’esame finora fatto perde lo splendido isolamento disegnato nel ddl governativo, e viene “circondato” dal collegio dei docenti e dal consiglio d’istituto. Sono passati finora emendamenti che prevedono che il piano triennale – all’interno del quale le scuole definiscono il loro “organico dell’autonomia”, ossia la vera corsia d’ingresso dei nuovi assunti – sia elaborato dal collegio dei docenti, e approvato anche dal consiglio di istituto, e sia sottoposto a verifica annuale. Inoltre, si mettono dei paletti ai criteri in base ai quali determinare l’organico che una scuola chiede, e si introducono anche gli amministrativi e i tecnici nell’organico dell’autonomia.
Premesse per aggredire il vero fulcro della riforma, i poteri del dirigente nella scelta di maestri e professori: ci si arriverà, nell’esame parlamentare, tra qualche giorno, con lo sciopero ancora “caldo”. La soluzione a cui si sta lavorando, nella semplificazione e riduzione degli emendamenti, è che siano reti di scuole, e non le singole scuole, a gestire la scelta dei docenti dagli albi.
Su queste modifiche il governo sembra disposto al compromesso. Sia perché sulla “buona scuola” finora Renzi ha scelto di non replicare lo schema d’attacco dell’Italicum, sia perché vuole portare a casa in fretta il risultato. Per ridurre il numero di inciampi possibili, potrebbe anche arrivare ad accettare un ridimensionamento delle deleghe contenute nella legge: da quattordici a quattro-cinque.
La soluzione a cui si sta lavorando, nella semplificazione e riduzione degli emendamenti, è che siano reti di scuole, e non le singole scuole, a gestire la scelta dei docenti dagli albi
Ma per quanto il parlamento corra, pare ormai impossibile che si possa raggiungere l’obiettivo principale del governo, la promessa fatta in più riprese: far partire le scuole dal primo settembre con i nuovi docenti assunti. L’idea di stralciare dal ddl la parte sulle assunzioni, e farne un decreto legge, è stata scartata dal governo: il numero dei posti è collegato a tutta la riforma, e senza il nuovo “organico dell’autonomia” le assunzioni da fare si limiterebbero a 40-50mila, ossia a coloro che sarebbero entrati comunque anche senza la “buona scuola”, per il normale scorrimento delle graduatorie. Dunque, si aspetta l’approvazione del ddl. Che per ora è in commissione alla camera: arriverà in aula il 14 maggio, e al voto e all’approvazione entro il 19 maggio.
Dopodiché, servirà almeno un altro mese per la lettura al senato. Poi l’approvazione (se non ci sono modifiche), la pubblicazione in Gazzetta, i tempi tecnici per chiedere alle scuole di presentare le loro richieste di organico e di chiamare tutti i docenti delle graduatorie, farli scegliere sulle destinazioni… I più ottimisti pensano che non arriveranno in cattedra prima di dicembre, e dunque che le scuole riapriranno nel caos. Tutti gli altri prevedono che si vada al prossimo anno scolastico, 2016-2017.
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