Questa mattina i grandi mezzi d’informazione olandesi e internazionali hanno accolto con entusiasmo i risultati delle elezioni legislative nei Paesi Bassi. Finalmente una vittoria “contro il populismo”, dopo la Brexit e l’elezione di Donald Trump. La valanga di voti annunciata per Geert Wilders non c’è stata: il frullato antieuropa del candidato nazionalpopulista non è riuscito. Il leader del Partito per la libertà (Pvv) ha soprattutto pagato lo scotto della sua assenza dai dibattiti in pubblico. Ha partecipato a poche riunioni e organizzato pochissimi comizi, preferendo riservare i suoi interventi ai social network. Una strategia che si è rivelata fallimentare.
Eppure, guardando la situazione da vicino, ci si rende conto che le cose sono un po’ più sfumate. Dopo quasi sette anni al potere il premier liberale Mark Rutte è riuscito a mantenersi in sella, con 33 seggi (sui 150 della camera bassa). Malgrado questo egregio risultato, Rutte è stato pesantemente sanzionato dagli elettori olandesi: i partiti che formano la maggioranza uscente hanno perso quasi il 50 per cento dei voti. È una sconfitta ma, siccome il suo Partito popolare per la libertà e democrazia (Vvd) resta il primo, il premier l’ha trasformata in vittoria.
Il pessimo risultato del governo uscente può sorprendere. Il paese se la cava abbastanza bene, soprattutto se paragonato all’Italia o alla Francia. La disoccupazione è bassa (intorno al 5 per cento), l’orario di lavoro è tra i più bassi al mondo (29 ore settimanali), la ricchezza è distribuita in modo tutto sommato abbastanza equo, le carceri chiudono per mancanza di detenuti e gli olandesi sono fra i popoli più felici del pianeta.
“Abbiamo fermato il populismo cattivo”, ha dichiarato Rutte una volta conosciuti i primi risultati, sottintendendo che la sua politica sarà invece un tipo di populismo buono e accettabile. E non ha torto: durante la campagna il Vvd e i cristianodemocratici della Cda hanno fatto proprio un tale numero di espressioni e di idee di Wilders da essere ormai diventati dei partiti populisti “light”. Una tendenza rafforzata dall’apparizione del Forum per la democrazia (FvD), una versione intellettuale ma ancora più virulenta del Pvv, guidata dallo storico e polemista Thierry Baudet, che ha ottenuto due seggi.
Il premier Rutte ha messo in guardia sulla complessità dei negoziati e ha detto di temere che durino molto più a lungo dell’ultima volta
L’aspetto più importante di questa tornata elettorale è senz’altro l’ottimo risultato dei due partiti più filoeuropei: la sinistra verde di GroenLinks (Gl) e i social liberali di D66. Il leader di Gl, il trentenne Jesse Klaver, soprannominato “il Jessia”, ha fatto una campagna perfetta. Con 14 seggi ha quasi quadruplicato la presenza del suo partito in parlamento, un record assoluto per Gl. Con il suo discorso ottimista e aperto verso gli stranieri e il mondo, D66 (19 seggi) guadagna voti per la nona volta consecutiva ed è praticamente certo di far parte della prossima coalizione di governo. A votare per questi due partiti sono state soprattutto le grandi città.
Come al solito, in questo paese in cui le coalizioni sono la regola, il paesaggio politico è estremamente frammentato. Per formare una coalizione Rutte dovrà scegliersi i partner tra i tredici partiti che saranno presenti nella nuova camera. Oggi il premier ha già compiuto il primo passo, la fase di esplorazione, e ha cominciato quella di informazione, che precede la formazione del governo. Ma Rutte ha già messo in guardia sulla complessità dei negoziati e ha detto di temere che “durino molto più a lungo dell’ultima volta”. Nel 2012 Rutte aveva avuto bisogno di quasi due mesi per formare il suo governo con i socialdemocratici del PvdA, che hanno subìto ieri la loro peggiore sconfitta, passando da 38 a 9 seggi.
All’epoca i due partiti disponevano di una maggioranza chiara. Oggi la situazione è diversa. Rutte dovrà trovarsi almeno altri due partner di coalizione: il Cda e D66, che hanno ottenuto 19 seggi entrambi. Ma gli servono almeno altri cinque seggi per ottenere la maggioranza. Poiché ha categoricamente escluso una coalizione con il Pvv, gli rimangono diverse opzioni: Gl, che ha 14 seggi (ipotesi più probabile), oppure, meno probabile ma non del tutto esclusa, i Cristiano ortodossi o il Partito per gli animali. Non è detto però che riesca a convincerli: dopo il tracollo degli alleati del PvdA tutti sanno che è estremamente rischioso formare un governo con Rutte.
All’indomani delle elezioni la “Nexit”, l’uscita dei Paesi Bassi dall’Ue propugnata da Wilders, è scongiurata, ma il pericolo populista è lungi dall’essere stato sconfitto e il paese è più diviso che mai.
(Traduzione di Luca Pauti)
In collaborazione con VoxEurop.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it