Uno si sveglia la mattina e in cima alle homepage legge che c’è stato uno scontro fra due elicotteri in Argentina durante l’edizione francese di Dropped, una specie di Isola dei famosi per sportivi sottoposti a prove di sopravvivenza in condizioni estreme.

Sono morte dieci persone: due piloti, cinque membri della troupe televisiva, una giovanissima campionessa di nuoto, una navigatrice che tanti anni fa aveva attraversato l’oceano in solitaria ed era stata soprannominata “la fidanzata dell’Atlantico”, un giovane pugile che aveva vinto un bronzo alle Olimpiadi.

Un altro, su Twitter, fa battute ciniche sui morti ancora insepolti: “Prova di sopravvivenza non superata”.

Un presidente dichiara: “La scomparsa dei nostri connazionali è un’immensa tristezza”. Un sito titola: “La Francia in lutto”.

Nella vita ho imparato che quello che provo non è mai monolitico. È sfaccettato, sbriciolato, stratificato. Io sono un grafico di opinioni, una torta di percentuali. Guardo i sondaggi, e spesso mi riconosco non solo in una parte o nell’altra, ma nella totalità del sondaggio: anche dentro di me, su questo o quest’altro tema, c’è un 59 per cento che è d’accordo, un 33 per cento contrario, un 8 per cento che non sa, non risponde. Ogni cosa mi pare allo stesso tempo un po’ giusta, un po’ sbagliata. E quello che mi sorprende è che le mie contraddittorie opinioni personali corrispondano alle percentuali collettive.

La notizia di questo incidente innesca in me una serie di commenti che si fanno obiezioni a vicenda.

Ecco le mie percentuali:

Morire per un reality è frivolo. Questa non è degna di essere chiamata morte, e io non provo dispiacere, non mi sento in lutto. 5%

Tutte le morti sono tragiche, sempre. 11%

Non è una tragedia, ma un triste episodio di humour noir. 10%

Et in Arcadia ego: “Anch’io abito in Arcadia”, dice la morte, “anch’io abito nelle utopie, nelle società ideali, nelle comunità progettate a tavolino da cui pretendevano di tenermi fuori”. 5%

Un reality inscena il rischio, tranne l’unico vero, la morte. Scherza col fuoco, ma il fuoco a volte non sta allo scherzo. 7%

Sono morti nel dietro le quinte. Sono morti nel making of, in un contenuto extra. 3%

Il backstage esiste grazie allo stage. La scena è finta, ma ha valore proprio perché crea un retroscena, che spicca per contrasto. La luce produce l’ombra. La verità e la realtà esistono grazie alla finzione e alla menzogna. 7%

Bah, roba che manda in solluchero i sapientoni dei media, perché gli consente di speculare sulle loro categorie artificiose: la solita solfa su realtà/finzione, eccetera. La vita è un’altra cosa. 7%

È uno dei fatti più contemporanei, più rappresentativi della nostra epoca che siano successi. Occidente allo stato puro. 6%

Bisogna compiangere quei tre atleti, tre povere persone che nella vita si erano fatti un mazzo così, e di cui forse il mondo si era dimenticato. Chissà, avranno ceduto alla nostalgia per la loro effimera notorietà perduta, o a un’offerta di soldi che magari, in certi casi, non avevano mai guadagnato con la loro dura attività sportiva. 11%

È troppo presto per reagire, sto scrivendo alle dieci del mattino e ho letto la notizia alle sette. Bisogna aspettare, informarsi meglio. 4%

È proprio la reazione a caldo che è significativa. Noi non viviamo nell’approfondimento e nella meditazione, ma nelle reazioni a caldo. 4%

Dei tre atleti morti conosceremo i nomi, leggeremo le biografie, constateremo con livida voluttà il tempestivo, impietoso aggiornamento delle loro date di morte nelle voci di Wikipedia, la correzione dei verbi da “est” a “était”, da “is” a “was”. Dei cinque membri della troupe sapremo che erano “cinque membri della troupe”. Dei due piloti di elicottero sapremo che erano “due piloti di elicottero”. 12%

Non so, non rispondo. 8%

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