Grandi preoccupazioni in Francia. Non per le manifestazioni contro la loi travail, la legge sul lavoro, e nemmeno per le proteste contro un rinnovato tentativo di tagliare i finanziamenti alle università (Toile de l’éducation, 25 maggio). A quanto pare, stando ai giornali, le grandi preoccupazioni si sono manifestate, ancora una volta, per lo stato e le sorti dell’ortografia.

Christelle Martin-Lacroux, ricercatrice di economia e gestione aziendale dell’istituto universitario di tecnologia (Iut) di Tolone, ha studiato in che modo le aziende selezionano i candidati in cerca d’occupazione. Per il settanta per cento dei selezionatori un fattore decisivo è la correttezza ortografica delle domande di lavoro. Si riduce a un terzo la probabilità d’assunzione se un curriculum presenta sbagli di ortografia.

Colpa del lassismo delle scuole. Ma non sono solo i selettori a venerare la correttezza ortografica, anche i candidati intervistati da Martin-Lacroux la pensano così. Di qui preoccupazioni e allarmi, tanto più che, secondo il Projet Voltaire, di cui già altre volte s’è qui detto, cresce la disaffezione per molte delle intricate regole dell’ortografia francese. Nel 2010 le possedeva bene il 51 per cento degli intervistati, nel 2016 soltanto il 47 per cento. Un dramma sconosciuto ai paesi anglofoni, osserva Martin-Lacroux. In essi fin dall’ottocento l’ortografia, più capricciosa della francese, pare a matter of private judgment, una faccenda personale.

Questa rubrica è stata pubblicata il 2 giugno 2016 a pagina 95 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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