Il 19 luglio un commando israeliano ha abbordato la Dignité al Karama, in rotta verso la Striscia di Gaza. Sulle navi israeliane ho contato almeno 150 soldati: uno spiegamento di forze enorme per contrastare i dieci attivisti, i tre uomini dell’equipaggio e i tre giornalisti a bordo della nave. Non ho scattato neanche una foto dell’attacco, preferisco usare le parole e chiedervi di usare l’immaginazione. Immaginate otto persone sedute sottocoperta in una barca sovraffollata. Altri otto sono sul ponte.
Tutti e sedici hanno trascorso la notte più difficile delle ultime due settimane: mare agitato, barca ancorata in mezzo al nulla, coperti di sudore e salsedine, irrequieti e sfiniti. Avevamo ripreso la navigazione martedì mattina, preferendo essere attaccati di giorno. A mezzogiorno sette imbarcazioni armate si avvicinano a grande velocità da ovest. Da due ore siamo accompagnati da una, due, poi tre navi da guerra. Le comunicazioni sono bloccate. Un comandante israeliano ci annuncia che non ci è permesso attraccare al porto di Gaza.
Ora immaginate sette navi che si avvicinano, gremite di soldati con i volti coperti da maschere nere. Usano i cannoni ad acqua per costringerci sottocoperta. Non vi faremo del male se obbedirete, ci annunciano. Alla fine ci imbarcano su un’enorme nave da guerra, circondati da missili puntati verso Gaza, la destinazione proibita. I giornalisti israeliani hanno scritto che i passeggeri della Dignité al Karama non hanno fatto uso della violenza.
Traduzione di Andrea Sparacino
Internazionale, numero 907, 22 luglio 2011
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