Quando scrivo, una tazza di caffè è l’ideale. Quindi, di solito, a un certo punto mollo il computer e vado a mettere la caffettiera sul fuoco. Otto volte su dieci me ne dimentico. Risultato: di norma pessimi avanzi di caffè strabollito, qualche volta caffettiera andata arrosto e da buttar via.
È successo anche oggi: ho rimediato con un tè (bruciare il bollitore è più difficile) e mi sono consolata ricordando che creatività e distrazione spesso vanno d’accordo. Ma, ovviamente, non basta carbonizzare caffettiere per attribuirsi una patente di creatività.
In realtà, quando diciamo “distrazione” dovremmo specificare: quanta, quando, rispetto a cosa? Ci sono almeno tre modi di essere distratti (e creativi).
Il primo è catturare suggestioni potenzialmente creative. Il secondo, lo svolgere compiti creativi. Il terzo, il cercare soluzioni creative a un problema.
1) Distratti perché permeabili. Come racconta Wired, una bassa capacità di filtrare gli stimoli ambientali prima che raggiungano le soglie della percezione (basso livello di inibizione latente), e dunque l’attitudine a lasciarsi distrarre da qualsiasi cosa capiti intorno, sembra essere connessa, oltre che con alcune severe patologie psichiatriche, con potenzialità creative maggiori. Nel secondo caso, però, l’individuo non si sente “sovrastato” dagli stimoli.
Anche l’apertura mentale (il tratto di personalità che, tra
i big five, risulta il più predittivo per la capacità creativa) si accompagna alla propensione a recepire un maggior numero di stimoli. Più suggestioni si accolgono, maggiore è la possibilità che si verifichi un cortocircuito creativo tra elementi in apparenza estranei.
2) Distratti perché intenti in un compito. Proverbiale la distrazione di Albert Einstein. Uno che perde le chiavi di casa il giorno del suo matrimonio. Che sbaglia a fare i conti della spesa. Che spesso, come lui stesso dice, è “così immerso nel suo lavoro da dimenticarsi di pranzare”.
Ma, appunto: Einstein è distratto nei confronti di quanto considera poco o per niente rilevante e, più che di distrazione, forse è meglio parlare di attenzione selettiva. D’altra parte, Einstein è uno che, come racconta un breve, delizioso post di Sylvie Coyaud, si rifiuta di portare i calzini, perfino quando va alla Casa Bianca, perché tanto “l’alluce finisce sempre per farci un buco”. Irrilevanti, anche quelli.
3) Distratti per pausa. Ne parla Psychology Today: è dimostrato che la capacità di risolvere creativamente problemi migliora se, tra il momento in cui il problema viene posto e quello in cui bisogna risolverlo, c’è una pausa in cui si svolge un compito insignificante e automatico. Attenzione: non una pausa in cui non si fa nulla o in cui ci si dedica a qualcosa di impegnativo.
Mentre si è blandamente impegnati (guidare l’auto per strade tranquille, pelare le patate, farsi una doccia, camminare) la mente sembra più libera di attivare il pensiero analogico, tipico dell’incubazione che produce soluzioni creative. La cosa funziona, però, a patto che le coordinate del problema siano state chiarite e approfondite in precedenza.
È quanto accade a Henri Poincaré, che risolve un complesso problema matematico così: “Arrivati a Coutances prendemmo un omnibus per non so quale passeggiata. Nel momento in cui mettevo piede sul predellino, mi venne in mente, senza che nulla nei miei pensieri precedenti sembrasse avermi preparato, che le trasformazioni che avevo usato per definire le funzioni fuchsiane erano identiche a quelle della geometria non euclidea. Non controllai, non ne avrei avuto il tempo, perché appena salito sull’omnibus ripresi la conversazione iniziata, ma ne ebbi immediatamente la perfetta certezza”.
Se avete un problema, vi capita di prendere il tram e oplà, trovate una soluzione, vi suggerisco però di segnarvela da qualche parte. A volte le intuizioni volano via, veloci come sono venute.
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