Lo si legge e lo si sente ripetere un po’ ovunque. Non tutti sono d’accordo, sia in Europa sia negli Stati Uniti. L’opinione pubblica è per lo più ostile all’operazione militare internazionale che si prepara dopo l’uso di armi chimiche da parte del regime siriano. Anche diversi partiti e dirigenti politici francesi sono contrari e denunciano i pericoli di un’avventura che per loro potrebbe portare più lontano del previsto.

Queste reticenze sono forti anche nel Regno Unito e non devono essere trascurate, perché l’uso della forza deve sempre essere un ricorso di ultima istanza. Ma rovesciamo il problema, che succederebbe se non vi fosse una vera reazione al crimine compiuto a Damasco?

La prima conseguenza sarebbe che il governo siriano – che già prima dell’estate aveva testato le reazioni internazionali ricorrendo ai gas su piccola scala – si riterrebbe libero di moltiplicare i massacri chimici simili a quelli compiuti la settimana scorsa. Ma in questo caso sarebbe necessario un vero intervento e un rovesciamento di questo regime, cioè un’operazione molto più rischiosa, lunga e costosa che la semplice sanzione militare rispetto a quella presa in considerazione oggi.

La seconda conseguenza dell’inazione è che i suoi primi beneficiari sarebbero proprio i jihadisti, i sostenitori della guerra santa, i più violenti e fanatici tra gli islamisti. In questi ultimi due anni la passività internazionale di fronte ai soprusi del potere siriano li ha già molto favoriti. Se ne sono serviti per spiegare che l’insurrezione siriana non poteva contare sulle grandi democrazie, che erano solo un’illusione e che solo la vera fede avrebbe permesso di vincere questa battaglia per poi lanciarne altre. Ormai i democratici e i laici siriani devono fare i conti con questi fanatici, che cominciano a rivoltarsi contro di loro e di certo non sarebbe nell’interesse di nessuno continuare a rafforzare dei jihadisti che negli ultimi anni erano diventati sempre più deboli.

La terza conseguenza di una non reazione sarebbe quella di vedere l’ala più dura del regime iraniano arrivare alla conclusione che nulla sarebbe ormai suscettibile di portare gli occidentali a ricorrere alla forza e che sarebbe quindi del tutto inutile fare loro delle concessioni sul nucleare. Il nuovo presidente iraniano, che su questo argomento è alla ricerca di un compromesso, si troverebbe emarginato e si arriverebbe a una guerra, una vera guerra, contro l’Iran a meno ovviamente di lasciarla dotarsi della bomba atomica.

La quarta conseguenza dell’inazione sarebbe che Vladimir Putin si sentirebbe del tutto giustificato nella sua scelta di essere molto esigente nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti, e di conseguenza le tensioni internazionali sarebbero molto più pericolose rispetto all’operazione limitata che si prepara adesso. Questa operazione non è ovviamente senza rischi. Il primo è quello di un drammatico errore nella scelta dei bersagli, ma – oltre al fatto che non bisogna accettare l’inaccettabile – i rischi dell’inazione sono più grandi, molto più grandi, di quelli dell’azione.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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