Dal dibattito in corso in Germania dipende il futuro dell’Europa e soprattutto della Francia. Venerdì pomeriggio il partito socialdemocratico tedesco (Spd) riunisce circa duecento delegati nazionali e regionali attorno al suo presidente, Sigmar Gabriel, per analizzare vantaggi e svantaggi di un eventuale ingresso nella coalizione di governo guidata da Angela Merkel, grande vincitrice delle elezioni di domenica scorsa.
Come dicevamo ieri, la grande paura della sinistra è di perdere la sua identità diventando un semplice accessorio della destra, a cui mancano appena 5 deputati per governare da sola. La base del partito rifiuta l’idea di una grande coalizione perché il peso dei socialdemocratici sarebbe insufficiente per influire sulla politica nazionale, ma la direzione dell’Spd è molto meno reticente. Per tre motivi.
Il primo motivo è che obbligando la destra a formare un governo minoritario (e per definizione fragile) la sinistra apparirebbe più legata ai propri interessi che a quelli del paese, rischiando di essere punita dagli elettori, in maggioranza favorevoli a una grande coalizione. Il secondo motivo è che la destra ha così tanto bisogno del sostegno dei deputati della sinistra che l’Spd potrebbe riuscire a imporre le sue principali condizioni: la creazione di un salario minimo interprofessionale e un aumento delle imposte sui redditi più elevati.
Il terzo motivo che spinge la direzione dell’Spd verso la grande coalizione è che oggi le industrie tedesche sono d’accordo con la sinistra su due punti fondamentali.
Innanzitutto, come la sinistra, anche gli imprenditori pensano che Berlino dovrebbe abbassare le pretese in materia di rigore budgetario nell’Unione, perché è verso l’Europa che sono indirizzati i due terzi delle esportazioni tedesche, e un prolungato stallo economico dei partner penalizzerebbe fortemente le industrie. In questi giorni, tra l’altro, sta emergendo lentamente una convergenza tra l’Spd, gli imprenditori tedeschi, la Francia e i paesi Ue in difficoltà, e l’ingresso dei socialdemocratici nel terzo governo Merkel favorirebbe quel rilancio della crescita di cui il Vecchio continente ha così tanto bisogno.
Inoltre gli imprenditori tedeschi (come i sindacati) vorrebbero un aumento degli investimenti nelle infrastrutture, che sull’altra sponda del Reno invecchiano pericolosamente. Anche in questo caso le preoccupazioni delle aziende tedesche convergono con quelle di François Hollande (che vorrebbe più investimenti europei) e di due banchieri centrali tedeschi, che giovedì hanno paventato un aumento della pressione fiscale per finanziare gli investimenti. Dato che il destino dei paesi Ue è indissolubilmente legato, quello in corso a Berlino non è più soltanto un dibattito tedesco. È un dibattito europeo.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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