Per capire come stanno le cose basta dare un’occhiata a una cartina politica dell’Africa. La Repubblica Centrafricana, dove la Francia si prepara a inviare un migliaio di soldati sotto mandato dell’Onu, è grande come come la penisola iberica e si trova nel cuore del continente nero, circondata da sei paesi tutti poveri e fragili, di cui alcuni in guerra.
La Repubblica Democratica del Congo è in preda alla devastazione, mentre i due Sudan sono in conflitto tra loro dopo la recente separazione. Un po’ più a est c’è l’Uganda, ancora alla ricerca di una stabilità. A nord si trova il Sahel, una terra che l’intervento francese in Mali ha salvato momentaneamente dal caos ma dove la situazione è ancora molto precaria.
Nella Repubblica Centrafricana, paese abbonato ai colpi di stato da quando i francesi sono andati via 53 anni fa, 450mila persone (un decimo della popolazione) sono state costrette a lasciare le proprie case dopo che il capo dello stato François Bozizé è stato rovesciato a marzo da una coalizione di ribelli armati. Se si trattasse di un semplice avvicendamento tra due leader illegittimi non sarebbe nulla di sorprendente, ma il problema è che il nuovo capo dello stato Michel Djotodia ha rapidamente perso il controllo dei suoi sostenitori, che oggi devastano il paese saccheggiando e bruciando le abitazioni e uccidendo e violentando senza sosta come orde di selvaggi scatenati.
Il bilancio dell’orrore è insostenibile, e tra l’altro la situazione potrebbe degenerare in una vera e propria guerra, perché la popolazione centroafricana, all’80 per cento cristiana, organizza milizie di autodifesa contro i saccheggiatori, prevalentemente musulmani. Se il conflitto dovesse protrarsi a lungo potrebbe diventare una guerra religiosa, tanto più inquietante se consideriamo che il paese attira frotte di jihadisti arrivati da tutto il continente nella speranza di creare un bunker (missione già tentata e fallita in Mali).
A questo punto l’obiettivo non è soltanto quello di salvare una popolazione disperata, ma anche di impedire che la crisi diventi regionale. La comunità internazionale è compatta, e per questo dopo l’appello della Francia il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si prepara a votare, tra otto giorni, una risoluzione che autorizzerà l’invio nella Repubblica Centrafricana di un contingente dell’Unione africana affiancato dai soldati francesi.
Ma perché è di nuovo la Francia a guidare la battaglia per la sicurezza in Africa dopo l’intervento in Mali?
Innanzitutto perché la Francia è l’ex potenza coloniale di questi paesi (rimasti francofoni) con cui mantiene legami storici, culturali ed economici. Inoltre Parigi ritiene che la sicurezza dell’Africa sia anche la sua sicurezza e quella dell’Europa, perché se dovesse trionfare il caos gli europei perderebbero un potenziale partner in pieno sviluppo economico e demografico, a cui vale la pena di offrire prospettive diverse dall’immigrazione clandestina verso un’Unione europea che non è in grado di gestire l’invasione di disperati. La Francia vuole aiutare l’Africa a crescere con le sue forze, ed è quello che intende fare a Bangui, dove interverrà soltanto per appoggiare i soldati africani.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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