Mercoledì abbiamo rivisto Obama al suo meglio: eloquente, chiaro e guidato dal suo costante desiderio di convincere gli altri ad abbracciare i valori dell’umanesimo e della democrazia. Accusato sulla scena internazionale e nelle capitali straniere di condurre una politica estera esitante e di aver paura di ricorrere alla forza per difendere gli interessi occidentali, il presidente americano ha spiegato la sua visione del mondo e del ruolo internazionale degli Stati Uniti all’accademia militare di West Point.

Obama ha precisato che raramente gli Stati Uniti sono stati così forti, grazie al dinamismo della loro economia, ai loro mezzi militari e alla crescente indipendenza energetica. Ancora oggi i cinque continenti si rivolgono a Washington in cerca di aiuto e protezione, e secondo Obama non si tratta di stabilire se l’America guiderà il mondo in questo nuovo secolo ma soltanto “in che modo intende farlo”.

Il presidente ha inoltre rifiutato l’isolazionismo, che sta  facendo proseliti nel suo paese dopo un decennio di guerre, ma anche l’interventismo di chi vorrebbe risolvere ogni problema con la forza. “L’isolazionismo non è una soluzione, ma allo stesso tempo avere il martello più grande non significa che tutti i problemi debbano essere trasformati in chiodi”, ha precisato prima di elencare i quattro punti fondamentali della sua politica di sicurezza nazionale.

Prima di tutto Obama ha promesso che gli Stati Uniti useranno la forza (anche unilateralmente) ogni volta che i loro interessi o quelli dei loro alleati saranno direttamente minacciati. In secondo luogo il presidente ha chiarito che la minaccia più diretta è ancora il terrorismo, che però è ormai decentralizzato e radicato nelle crisi locali. Per affrontare il problema Washington ha dunque bisogno di partner nazionali e regionali, a cui offrirà cinque miliardi di dollari per finanziare un indispensabile sforzo internazionale.

Inoltre il multilateralismo e la mobilitazione delle istituzioni internazionali e delle opinioni pubbliche saranno gli strumenti essenziali della diplomazia statunitense. Questo approccio, ha precisato Obama, ha già prodotto i primi risultati in Iran, finalmente portato al tavolo delle discussioni, e in Russia, costretta ad accettare le presidenziali ucraine dalle sanzioni economiche e dalla denuncia dei suoi misfatti.

Infine il presidente ha sottolineato che “l’influenza statunitense è molto più forte quando viene esercitata dando l’esempio agli altri”. In altre parole gli Stati Uniti devono rispettare le regole che vogliono difendere, che si tratti di Guantanamo, della tutela dell’ambiente o della raccolta dei dati personali.

Il discorso di Obama è stato equilibrato, equo e convincente, tranne forse sulla Siria. Colpire le installazioni militari del regime dopo il suo ricorso alle armi chimiche non avrebbe infatti significato aprire un nuovo fronte di guerra, ma soltanto riequilibrare i rapporti di forza costringendo Bashar al Assad ad accettare quel compromesso che continua a disprezzare impunemente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it